La schiavitù non è un romanzo a lieto fine

di Emmanuele Di Leo

POSSONO LE PAROLE CAMBIARE LA REALTA’?

Possono le parole cambiare la realtà? No, ma la percezione di essa sì. Non è passato molto tempo da quando abbiamo denunciato la vergognosa propaganda dell’Hotel Venezia a Kiev, in Ucraina, dove 46 neonati da madri surrogate, vi soggiornano, in attesa che i genitori acquirenti arrivino a ritirare la merce.

Il tono dolce delle parole dell’incaricata della direzione, i colori pastello, le rassicurazioni sul bagnetto e sulle passeggiate hanno certo lo scopo di rappresentare una realtà diversa da quella che si nasconde dietro tutto questo imbellettamento: un crimine contro il più elementare dei diritti umani, una nuova forma di schiavitù, l’utero in affitto.

Recentemente noi di Steadfast onlus ci siamo imbattuti in un’app, che chiameremo R, che permette di leggere romanzi a puntate. I capitoli possono essere sbloccati per la lettura immediatamente, spendendo delle monete (coins) o attendendo il giorno successivo. Nuovi capitoli, di dimensioni ridotte (bite-sized) vengono aggiunti giorno dopo giorno, lasciando nel lettore un piacevole senso di attesa.

Tra i romanzi proposti, al secondo posto, ben 19,2 milioni di visualizzazioni, ha catturato la nostra attenzione “The Billionaire’s Surrogate”. Ecco la storia:

Emily ha 24 anni, è una studentessa del college, vorrebbe aiutare la propria famiglia a pagare le cure del padre malato, ma le sue condizioni economiche non glielo permettono. E’ così che ha l’idea di candidarsi presso un’agenzia per madri surrogate, La Growing Generations Program.
La decisione non sembra esserle costata molta fatica, la remunerazione di questo servizio le fa gola, le cambierebbe la vita, ovviamente perché potrebbe aiutare suo padre nella malattia.
Con sua sorpresa qualcuno accetta la sua candidatura, un affascinante single, erede di una famosa famiglia di attori. Cosa fa retrocedere Emily dalla decisione, inizialmente? Il fatto che l’affascinante Collins non voglia solo che Emily presti il suo utero, ma che, tramite inseminazione, venga fecondato il suo stesso ovulo. Lei sarebbe la madre biologica del bambino che porterà in grembo per nove mesi e che cederà al padre single dopo il parto, secondo un contratto che le farà perdere qualsiasi diritto. Questo barlume di coscienza viene però oscurato dalla proposta di ben 250 mila dollari come pagamento della prestazione.

Come potete intuire, il tranello per questi 19 milioni di lettori sta proprio nell’immaginazione romantica a cui la lettura li conduce in maniera subliminale.
Lui e lei sono di bell’aspetto, lui, sfacciatamente ricco, si rivela “patologicamente” protettivo nei confronti di lei; come non immaginare un finale romantico tra i due. Se fossero stati goffi e inetti, se lui fosse stato un mero cliente distaccato, se lei avesse ammesso di prendere questa scelta per godersi una bella vita, anziché per aiutare un padre malato, probabilmente il messaggio non sarebbe arrivato al lettore allo stesso modo.

Non è nel nostro obiettivo denigrare un romanzo, perché tale è. E’ una finzione e tale resta poiché un caso del genere, con queste specifiche caratteristiche, probabilmente non avverrà mai.
Quello che vogliamo invece far capire è come, un atto criminale e disumano, come lo strappare per contratto dalle braccia di una madre un neonato, se viene presentato con i dovuti accorgimenti, possa essere trasfigurato arrivando a essere visto solo come un gesto d’amore. È quello che abbiamo visto succedere a Kiev, un desiderio egoistico di maternità/paternità che ha il diritto di essere soddisfatto nonostante tutto e per il quale ci si auspica addirittura che non ci possano essere conseguenze se si infrange la legge. Peccato che si tratti di bimbi veri e non sia un romanzo.

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