Marcello Veneziani: “La cultura di un popolo passa inevitabilmente per la tradizione”

 

È proprio vero che stiamo vivendo un tempo che non è paragonabile a nessun momento della storia umana? Veramente siamo al tramonto di ogni ideale a noi conosciuto: l’Occidente, la politica e addirittura la millenaria civiltà cristiana?

Non ci piacciono gli apocalittici, i complottisti e in genere tutti i facili profeti di sventura, ma quella di Marcello Veneziani, purtroppo, più che un vaticinio pare essere un’analisi del presente, e per di più lucida. Quindi, andiamo alla fonte delle nostre inquietudini e chiediamo direttamente a lui se il sole è veramente così basso sull’orizzonte, con un’attenzione speciale a quella misteriosa compagnia di uomini, la Chiesa, che da duemila anni è voce infaticabile di una speranza viva che non conosce tramonto.

Alla fine, Marcello Veneziani, se dovessimo andare all’origine dei problemi, possiamo dire che il male incurabile dell’Occidente è quest’alleanza tra nichilismo e relativismo, cioè tra il “niente è importante” e il “va bene tutto”?

Non è un’alleanza, è una conseguenza. Il relativismo presuppone il nichilismo e produce nichilismo, e viceversa. Vi possono essere forme incoerenti e incompiute di relativismo che non esplicitano la destinazione ultima, il nichilismo. E forme distorte e incoerenti di nichilismo che partono dal relativismo e arrivano al suprematismo, cioè a forme di egemonia o dispotismo. Oggi a me pare invece che i due opposti negativi siano il nichilismo e il fanatismo, cioè l’assenza di scopo, significato e valore da una parte e la pretesa di ingabbiare il mondo, l’umanità, dentro il monopolio della propria Assoluta Verità.

Perché sostiene che il politicamente corretto è pericoloso? Al contrario, quanto è importante l’identità di un popolo?

Il politicamente corretto è la negazione della realtà, della storia e della natura nel nome di un codice ideologico che decreta la falsificazione dei fatti, del comune sentire e perfino del linguaggio. L’identità di un popolo è invece legata al senso comune, all’esperienza reale della vita, ai suoi limiti e alle sue imperfezioni. La sua cultura passa inevitabilmente per la tradizione sedimentata nel tempo e tra le generazioni, quel patrimonio di pratiche, riti, simboli, religioni, costumi e linguaggi che ne costituiscono poi la sua provenienza.

Nell’era della post-verità e della globalizzazione cosa deve fare l’uomo per non sentirsi solo e senza un destino?

Deve connettersi, ma in questo caso non a una rete, a un social, a un’emittente; ma connettersi alle persone reali che vivono accanto a lui, alla famiglia, alla città, alla propria patria, a coloro che condividono idee e sensibilità; e connettersi a coloro che furono e a coloro che saranno, cioè collegarsi a una tradizione, e dunque a un passato e a un avvenire, liberandosi dalla dittatura del presente.

 

Il testo integrale dell’intervista,
a cura di Daniele Barale-Antonio Iannaccone, è su Pepe online,
che ringraziamo per averci permesso di proporre
questo
estratto dell’intervista, datata ma ancora molto interessante

 

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