Ecco come avvenne il processo e la condanna al rogo di Giovanna D’Arco

Simonpietro Carta

Chi era Giovanna d’Arco? In una serie di cinque articoli, stiamo raccontando la vita e le opere di questa giovane santa, mandata da Dio a liberare la Francia dall’occupazione straniera e morta a soli 19 anni per mezzo del tribunale dell’Inquisizione manovrato dal potere inglese. Di lei abbiamo tantissime notizie storiche; la sua vicenda biografica è tra le più documentate tra i personaggi del XV secolo e, qui, vi presentiamo la quarta puntata della sua straordinaria storia

Nel 1430 Giovanna venne catturata e consegnata a Giovanni II di Lussemburgo (1392-1441), vassallo di Filippo il Buono, duca di Borgogna. Rimarrà circa un anno prigioniera, spostata in varie prigioni, incatenata, sorvegliata, con l’inverno duro, la solitudine e il senso di abbandono da parte del suo re: eppure tutto questo non piegherà la ragazzina venuta dalla Lorena che poi davanti ai suoi giudici risponderà con fortezza e in maniera evangelica (cfr. Lc 21, 12-15).

È Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais, filoinglese, ad essere incaricato per la negoziazione dell’acquisto della prigioniera: gli Inglesi versano a Filippo il Buono 10.000 scudi d’oro. Invece il re di Francia non fece assolutamente nulla per liberare Giovanna.

Avendo la Pulzella nelle loro mani, gli Inglesi avrebbero potuto giustiziarla senza nessun processo: ma processare Giovanna era il miglior modo per screditare la corona francese. Venne dunque trasferita a Rouen, in Normandia, il 23 dicembre del 1430. E qui inizia la grande avventura del processo di condanna.

A Rouen le fecero un nuovo esame di verginità. Non trovando quindi niente contro di lei, gli Inglesi decisero di puntare sul fatto che, vestendosi da uomo, potesse essere accusata di rifiutare gli insegnamenti della Chiesa sul decoro e sul comportamento femminile. Fu quindi sospetta persino di eresia. Il tribunale competente per le accuse di eresia era, come noto, il tribunale dell’Inquisizione. Ma né l’inquisitore di Francia né il suo vice (che poi sarà costretto a farlo) vollero presenziare a questo processo. Anche molti dei 131 consiglieri, capendo che il processo assomigliava ad una farsa, non vollero parteciparvi, ma vennero minacciati e intimiditi. Alla fine, quindi, il giudizio finale del processo su Giovanna, non sarà opera della Chiesa, bensì di una serie di uomini manovrati dal “partito inglese”.

Il 21 febbraio del 1431 venne fissata la prima udienza. La Pulzella risponderà a tutte le domande in modo sbalorditivo. Una domanda dei giudici, fra le altre, lascia ancora impressionati gli studiosi di questo processo per la sua perfidia. Gli inquisitori gli chiesero infatti: “Giovanna, sei in stato di grazia?” [cioè, ti trovi senza peccato?]. Era ovviamente una domanda a trabocchetto: se avesse risposto di , i giudici l’avrebbero accusata di superbia e di vanagloria; se avesse risposto di no, le avrebbero contestato che Dio fosse al suo fianco dato il suo stato di peccato… Ma Giovanna lasciò tutti esterrefatti: “E’ difficile rispondere a questa domanda, però dirò questo: se vi sono [in stato di grazia], che Dio mi ci custodisca; se non vi sono, voglia Iddio mettermici, perché preferirei morire piuttosto che non essere nell’amore di Dio”. I giudici rimasero a bocca aperta e, anche se procedettero comunque nel processo in maniera più o meno formalmente valida, seppero definitivamente che seppure in extremis era necessario trovare un valido motivo per condannarla, perché gli Inglesi erano stati chiari con loro: o muore lei o periranno loro.

Il 24 maggio la portarono dunque nel cimitero dell’abbazia di Saint-Ouen a Rouen, con tutto pronto per il rogo; le venne letta una pergamena con tutti i suoi errori e le venne sottoposta una lettera di 8 righe con su scritta l’abiura. Giovanna s’impegnava per l’avvenire a non portare più l’abito maschile, né le armi, né i capelli rasati e altro. Qualora non avesse firmato, avrebbe subito immediatamente la condanna. Per questo, vuoi un momento di debolezza, vuoi la paura del fuoco, vuoi la falsità delle promesse, Giovanna si dispose a firmare l’abiura ed ebbe salva la vita. Ma fu condannata al carcere a vita, fatta vestire da donna e riportata subito in prigione. C’è chi ha sostenuto che Giovanna firmò perché le fecero artatamente capire che l’avrebbero liberata, ma tant’è. 

Poi successe un qualcosa che ha dell’incredibile: il 28 maggio, quattro giorni dopo l’abiura, la Pulzella venne nuovamente trovata in carcere vestita da uomo. Gli Inglesi lo vennero a sapere e se ne rallegrarono: erano di fronte, infatti, al tipico caso di recidiva, di persona cioè ricaduta nell’errore. Ora Giovanna poteva quindi essere condannata a morte come “relapsa”, che significa appunto “ricaduta”. Nel medioevo i relapsi venivano subito condannati a morte. E dunque per Giovanna non c’era più niente da fare. La mattina del 30 maggio, sulla piazza del mercato vecchio di Rouen, venne legata al tronco con sopra una catasta di legna. Il rogo venne acceso e, da quel momento, la Pulzella non smise di pregare, perdonare i suoi nemici, invocare il nome di “Gesù”. Alla vista di ciò molti dei presenti iniziarono a piangere o si sentirono male. Giovanna morì quasi subito, soffocata dal fumo e dalla mancanza di ossigeno. Le sue ceneri vennero poi raccolte e disperse nella Senna. Ma i processi su Giovanna non sarebbero ancora finiti…

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