In Pakistan il trentasettenne Asif Pervaiz, operaio in una fabbrica di abbigliamento, accusato dal suo supervisore di avergli inviato in un sms contenente alcuni commenti dispregiativi sul profeta musulmano Maometto, è stato condannato all’impiccagione.
L’accusato di blasfemia, che per la Sharia deve essere punita con la morte, si professa innocente e ha dichiarato che le accuse del suo capo siano una ritorsione per il suo rifiuto di convertirsi all’Islam.
Asif è difeso dallo stesso avvocato che perorò la causa di Asia Bibi, sono pochi gli uomini veramente coraggiosi.
Un altro martire, non so come altro definirlo.
Nel silenzio.
Lorenzo Capellini Mion