Immigrati che arrivano e italiani che abbandonano la patria

Di Emanuela Maccarrone

La gestione delle immigrazioni è una delle questioni più urgenti dello Stato italiano poiché, per via della sua  posizione geografica, è un Paese di primo ingresso e, pertanto, facile baluardo per i migranti.

Tuttavia all’emergenza dei migranti si contrappone un’altra emergenza: quella delle emigrazioni dei connazionali.

Premettendo che emigrare è un Diritto riconosciuto sia dalla Costituzione italiana nell’art.35, sia dalla Dichiarazione dei diritti umani negli art. 13 e 14, quest’ultimo riguarda il diritto di asilo, in quanto tale, ossia una libera scelta dell’individuo, nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di ‘essere costretto’ a emigrare a causa delle condizioni precarie del proprio Paese.

San Giovanni Paolo II in occasione del IV Congresso mondiale per i migranti e gli itineranti tenutosi nel 1998, sostenne: “Mi pare opportuno ribadire, in questo contesto, che diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria. Questo diritto tuttavia diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione. Essi sono, tra gli altri, i conflitti interni, le guerre, il sistema di governo, l’iniqua distribuzione delle risorse economiche, la politica agricola incoerente, l’industrializzazione irrazionale, la corruzione dilagante. Per correggere queste situazioni, è indispensabile promuovere uno sviluppo economico equilibrato, il progressivo superamento delle disuguaglianze sociali, il rispetto scrupoloso della persona umana, il buon funzionamento delle strutture democratiche “.

Riprendendo queste parole papa Benedetto XVI, in occasione della Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato nel 2013, ha sostenuto l’esistenza di un ‘Diritto a non emigrare’ che riguarda tutti gli uomini.

In base al report sull’immigrazione dell’Istat per l’anno 2018, gli italiani trasferitisi all’estero nell’ultimo decennio sono 816 mila; il 53% di essi è in possesso di un titolo di studio medio-alto, dei quali 33mila diplomati e 29mila laureati, come riportato in un articolodel ‘IlGiornale’ il 20 luglio 2020.

Secondo l’indagine‘sul trasferimento all’estero dei talenti italiani ‘ svolta dall’ufficio studi Pwc (Pricewaterhouse Cooper) per conto di Talents in motion, il primo progetto a Responsabilità sociale a 360° realizzato attraverso un lavoro continuativo tra aziende, istituzioni, università e partner, il 66% degli intervistati considera il mercato italiano lento, ossia poco attento ‘a chi sa fare’, l’85% degli intervistati, infatti, sostiene che il Paese estero in cui lavora è in grado di offrire maggior prospettive professionali e di guadagno.

Sempre in base all’indagine, l’84% degli intervistati non è interessato a tornare in Italia sia perché le aziende italiane sono considerate poco dinamiche, da un punto di vista della crescita professionale e personale, sia perché pervase da clientelismo e corruzione (l’indagine è riportata in un articolo ‘La Voce della buona notizia’ del 23 settembre 2019).

In sostanza, se da un lato l’Italia deve fronteggiare l’immigrazione di coloro che vengono da altri paesi, perché in cerca di una vita migliore, dall’altro deve tener presente che gli italiani emigrano all’estero in cerca di opportunità che in patria non trovano; senza dimenticare  gli inattivi e i disoccupati, i primi scoraggiati e i secondi in cerca di un lavoro, che continuano a rimanere in Italia nella speranza che qualcosa cambi, purché anch’essi non decidano, prima o poi, di abbandonare la patria.

 

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