Le sventure sono l’ultimo richiamo di Dio per indurci alla conversione e alla salvezza

Di Padre Giuseppe Tagliareni

Quando avviene un terremoto o altro sconvolgimento della natura (maremoto, uragano, tempeste, etc.) si rimane sgomenti, specialmente se vi sono morti. Così pure per incidenti aerei e navali, per atti di terrorismo e guerre. Quanti morti in questi casi! E tra di questi anche tanti innocenti, come i bambini. Allora facilmente ci si chiede: “Perché?”.

Chi non crede in Dio vi trova la giustificazione del suo ateismo, dicendo: “Dio non c’è. Se ci fosse, non permetterebbe simili sciagure. Tutto avviene per caso…”. E a chi nonostante tutto afferma che Dio c’è, l’ateo chiede: “Dovera Dio, quando crollavano le case di tanti poveri diavoli? Dov’era Dio quando morivano tanti bambini innocenti?”. Anche il credente è sollecitato a porsi la domanda. In fondo si tratta del problema del male. Se Dio c’è, perché c’è il male? Perché Dio non lo toglie? Quanto agli uomini, cosa possono fare davanti a simili sciagure? Come evitarle?

Per dare una risposta fondata sulla Parola di Dio, dobbiamo rifarci a Gesù, Dio-con-noi, venuto proprio per togliere il male dalla terra e dal cuore degli uomini. Nel Vangelo di Luca si dice: “Si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,1-5).

Che vuol dire Gesù? L’insegnamento è chiaro: la morte violenta o sciagurata non è voluta da Dio, ma è un’amara conseguenza della non-conversione a Dio da parte di tutto un popolo. Se un popolo abbandona Dio, se nelle sue varie espressioni vitali e civili calpesta abitualmente i Suoi Comandamenti, allora non gode più della Sua protezione e benevolenza. Prima o poi arriva la sventura, col suo triste corteo di lutti e lacrime. Voltando le spalle a Dio, a lungo andare si rovina tutto: la famiglia, la gioventù, le istituzioni, l’economia, lo sport, il divertimento, etc. e Dio non protegge più. Le sventure sono l’ultimo richiamo di Dio per svegliare tutti e indurci alla conversione e quindi alla salvezza. Se invece vi è conversione, come fu per Ninive al tempo del profeta Giona, allora il castigo è allontanato e la città si salva.

Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,1-9). Dio è il padrone del campo e l’uomo è rappresentato da quel fico. È stato creato per portare frutti: opere di bontà, di giustizia, di misericordia. Se questi frutti mancano per troppo tempo, l’albero non merita di restare a “sfruttare il terreno”, cioè quell’uomo non merita di continuare a vivere sulla terra. E Dio può ordinare di farlo sradicare, senza fare torto a nessuno. Così può fare d’un intero popolo, come fu per gli ebrei contemporanei di Gesù: Gerusalemme fu distrutta dalle legioni romane e i superstiti ridotti in schiavitù o dispersi. Essi infatti, si allontanarono in massa da Dio, rifiutando il Suo Messia, come già avevano rifiutato e perseguitato i Suoi Profeti. Per questo Gesù sentenziò: “Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare” (Mt 21,43). Ma la stessa cosa può accadere ai cristiani e a qualunque altro popolo e nazione. Dio dà tempo e “concime”, cioè cura, ma vuole frutti e frutti buoni.

Che significa il crollo delle case, l’accartocciarsi dei palazzi, l’estendersi di un’epidemia come l’aids, la furia di un uragano, la devastazione di una guerra? Certamente vi sono delle responsabilità umane di chi costruisce male le case, di chi non usa le precauzioni del caso, di chi guida malamente un popolo. E tanti mali vengono come conseguenze dirette o indirette di errori, di abusi, di cattive scelte operate da tanti.

Ma bisogna forse fare una lettura più religiosa e spirituale degli avvenimenti. Quelle case che si sbriciolano per una scossa di terremoto, non indicano forse che è la famiglia a sbriciolarsi sotto i colpi delle separazioni e dei divorzi, poiché non c’è più il cemento tra marito e moglie? E quei palazzi che si accartocciano, non vogliono significare che anche le istituzioni non funzionano più? La scuola, la sanità, la giustizia, il comune, lo Stato e la stessa Chiesa funzionano? Sembra che oggi tutto sta crollando: persone e istituzioni, famiglia e società, Stato e Chiesa.

Un esempio emblematico e ben preoccupante è quello di una gioventù che si ribella ai genitori e ormai data in massa al fumo, alla droga, all’alcol, all’uso irresponsabile del sesso, al divertimento pazzo, alla musica alienante ed ossessiva. Cosa potranno costruire domani questi ragazzi? E quale speranza può avere una società in cui i giovani sono distrutti nella loro vita morale e spirituale? Le “stragi del sabato sera” così tristemente frequenti, non sono forse un grido d’allarme? Ma chi lo recepisce? E come porre rimedio a simile rovina?

Nessuna casa o istituzione funziona se non cè la virtù; nessun uomo (giovane o anziano) è buono se non è moralmente sano; nessuna Chiesa si regge se non è santa; nessuna cultura è degna dell’uomo e del cristiano, se non esalta lo spirito più della materia, se non ritrova le regole del buon comportamento, se non esalta l’onestà sopra la furbizia, la virtù sopra il vizio, il dovere sopra il piacere, l’eterno sull’effimero, il valore incrollabile del vero-buono-bello sopra il falso, il cattivo, il brutto. Lì dove col vizio sfacciato imperversa la follia, la tracotanza, la ribellione a Dio e la sfida satanica di sentirsi “come Dio”, presto arriva il meritato castigo, perché Dio è Giusto.

I divini flagelli possono essere tanti e sono sempre come l’ultimo richiamo al ravvedimento e alla conversione del cuore. Questo vale per tutti. Il terribile tsunami del 2004, che colpì le coste di tanti paesi dove si fa turismo sessuale e il tremendo terremoto di Haiti, un paese notoriamente pieno di riti vudù e consacrato a Satana, ne sono ampia testimonianza.

Ma perché l’ira di Dio non risparmia gli innocenti come i bambini? Che colpe possono avere? Ebbene, è Gesù crocifisso che dà la risposta: “Io sono crocifisso con voi, innocente più di voi. E della vostra morte unita alla mia, faccio offerta e immolazione gradita a Dio, a favore dei nostri fratelli peccatori”. Sì, la sofferenza degli innocenti è l’aggiunta di “ciò che manca ai patimenti di Cristo”, come dice San Paolo, a favore del Suo Corpo mistico, che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). È questo che salva il mondo e allontana altri e peggiori castighi. Così insegna la vita di tanti Santi, che come Padre Pio si offrivano di soffrire e morire per gli altri. Dio, in Gesù, non è mai così presente e attivo come quando s’incarna in un sofferente che offre la sua vita a Dio.

Così è lamore che trionfa. E se è vero che l’amore si misura dal sacrificio, chi offre la sua vita fa il più grande dei sacrifici. E ciò vale anche per le vittime involontarie come i Bambini di Betlemme trucidati dalla furia omicida di Erode. Essi sono definitivamente salvi nel Regno di Dio. Così i bambini morti nel terremoto o in altre sciagure. La loro vita è sacrificata a causa della cattiveria degli uomini e può servire, nella divina economia, alla salvezza eterna dei loro cari e di tanti altri. La vera Salvezza, infatti, non è restare qui, ma entrare nel Regno eterno della luce, della gioia e della pace di Dio. Questa è la lettura da fare e il messaggio da annunziare dai tetti, come Giona a Ninive, aggiungendo che con Gesù e solo con Lui tutto si può salvare. E che in Lui anche i nostri morti vivono, nella pace eterna dei Santi.

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