San Simplicio, la cui memoria è vivissima a Olbia

Di Benedetta De Vito

In Sardegna, proprio davanti alla bianca spiaggia di Cala Girgolu, sorge l’isola di Tavolara, alta nel picco più alto dal nome di Punta Cannone, colorata di azzurro e di rosa al tramonto e di arancio lucente al mattino presto. Tavolara, il più piccolo regno sulla terra, che fu di un re pescatore proveniente dalla Corsica e che conserva un reggia rosa e, sul retrospiaggia, un piccolo cimitero accarezzato dal vento. Bambina, mi guardava laggiù, tra le onde, naso a naso, grandicella la scalai fino a guardar il mondo tra cielo e terra, e firmare il libro di vetta, che riposa sotto una Croce. Ora nell’argentea età adulta la osservo come un’antica sorella. Proprio a Tavolara, nelle sue acque chiare e limpide, fu buttato il corpo del Santo di cui scrivo questa domenica: San Simplicio. Narra la leggenda che questo misterioso sacerdote, che forse fu Vescovo di Olbia e che oggi ne è il Patrono, finì tra le onde e che lì dove il suo santo corpo baciò il salso toccando il fondo marino, perdendosi tra i flutti, l’acqua, in turbine, ribollisse, quasi a manifestar lo sgomento per il martirio di un giusto. Isola sacra, Tavolara, fin dall’antichità che la chiamava Hermae insula, isola di Mercurio (Hermes), protettore dei naviganti. Ancora oggi, pur essendo parco marino, è possibile, in barca, toccare Punta Papa, che è un Pontefice in pietra, seduto sul trono e benedicente…

Difficile ricostruire la vita di Simplicio, santo sacerdote, vissuto ai tempi dell’imperatore Diocleziano, che considerava i cristiani il grande male proveniente dall’Oriente. Con quattro editti, l’imperatore – che divise l’impero in due parti (entrambe con un Augusto e un Cesare), per poi ritirarsi a vita privata – cercò di fermare, invano, le conversioni, obbligando i credenti al sacrificio agli Dei, pena la morte. Simplicio, forse semplice presbitero, forse già Vescovo, si rifiutò di adorare gli antichi dei pagani e fu ucciso. Era il 15 maggio, forse, del 303, dopo Cristo. Sì, è tutto un forse. Dai martirologi che gli dedicano poche parole si ricavano, infatti, scarne notizie. Di certo fu consacrato al Signore e il suo nome lo grida forte, in punto esclamativo: Simplicio, povero di spirito. Nelle beatitudini, Gesù, nostro Signore, dice beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli. Sulla terra, la memoria di San Simplicio è però ancora viva, vivissima a Olbia, dove viene festeggiato nel giorno della sua nascita in cielo, appunto il 15 maggio.

E caso vuole che la mia unica amica olbiese, Beatrice, sia nata proprio nel giorno di San Simplicio ed è a lei che, in semplicità di Simplicio, dedico questo breve scritto, perché è lei, durante una delle nostre lunghe passeggiate in riva al mare per raggiungere la bella Madonnina che abita, tra lentischi e sabbia bianca, su una roccia a Porto Taverna, che mi ha acceso la luce nella stanza del cuore dedicata a questo uomo di Dio che non conoscevo. Davanti alla nostra Cara Mamma in cielo, Beatrice mi ha raccontato del “suo” Simplicio, che per osmosi si è fatto anche “mio”.

Non conoscevo San Simplicio, come non conoscevo, pur andando in Sardegna ogni anno, la stupenda Cattedrale a lui dedicata che s’affaccia, ad Olbia, sull’omonimo piazzale. Vista da fuori, la facciata, in saliscendi, appare bianca, essenziale, semplice come il  nome che porta. Una chiesa romanica,  in stile pisano, tra le più belle di tutta la Sardegna ed è stata insignita del titolo di “pontificia basilica minore”.  Entrando, la notte del Mistero ci avvolge, nude le pareti delle tre navate. In preghiera, il fiato si mozza nella bellezza della Cattedrale di Olbia. La Basilica è cuore di  “sa Festa Manna de Mesu Maju”, cioè della festa patronale che, il 15 maggio, allieta le stradine e le piazze di Olbia, con processione, fuochi d’artificio, canti sardi. Purtroppo, l’anno passato, a causa del lockdown, la festa è saltata, e San Simplicio non ha potuto benedire, nella statua che lo dipinge come Vescovo di Terranova Pausania (allora Olbia, che nel Medio Evo, ebbe il nome di Civita, si chiamava così), portato in alto dai fedeli, la sua cara città.

Ma speriamo nell’anno che viene e speriamo che i tanti turisti che si recano, ogni anno in Sardegna, per rincorrere le spiagge e la movida, trovino il tempo di salutare San Simplicio nella sua splendida Chiesa. E se poi rimane del tempo, invito tutti a sbarcare sull’isola di Molara, tanto vicina a Tavolara eppure tanto diversa, per trovare al suo interno una piccola chiesa dedicata a San Ponziano, che fu Papa e che fu deportato in Sardegna “ad metalla”, cioè a scavare nelle miniere. Ma questa è un’altra storia.

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