Don Nuara alla Segre: “dire ‘io non perdono’ è diseducativo per i giovani”

Di Don Antonio Nuara

“Non ho mai perdonato, come non ho dimenticato. Certe cose non sono mai riuscita a perdonarle”.

Così più volte ha ripetuto Liliana Segre, ricordando le leggi razziali che l’hanno fatto soffrire, perché ebrea.

Eppure il mondo biblico degli Ebrei è pieno di insegnamenti ed esortazioni che parlano di misericordia e di perdono di coloro che hanno fatto loro del male.

La senatrice Segre è una martire vivente dell’odio razziale nazifascista. E tutti gliene diamo atto e auspichiamo che mai e poi mai ciò possa ripetersi per nessun essere umano.

La dignità della persona, chiunque essa sia, merita il massimo rispetto. Pensiamo in quante parti del mondo ancora si pratica la tortura.

Umanamente il suo atteggiamento è comprensibile, ma come credente meno.
Il perdonare è una qualità propria della persona umana, indipendentemente dalla sua fede, cultura, razza, credo politico. Viene prima di ogni ideologia.

L’essere umano è per l’amore e non per l’odio. Se odia, anche se ha subito i torti più atroci, non esprime la genuinità della sua umanità. E non è costruttivo far passare questo messaggio, soprattutto tra i giovani.

L’essere umano è grande quando perdona.Tra i credenti o i non credenti c’è chi ha la capacità di perdonare o di non perdonare. Non ho nulla contro la Segre, anzi ho profondo rispetto prr la sua sofferenza, ma dire agli alunni: “io non perdono”, non mi piace. Ho chiesto conferma a qualche esperto di problemi umani per suffragare la mia convinzione.

Una fede robusta, inoltre, può aiutarci ad esprimere questo grande valore proprio dell’essere umano. Dobbiamo essere costruttori di una società dove l’amore prevalga sull’odio. Dire: “non perdono”, non è un bel messaggio per le giovani generazioni.

Ricordo che le leggi razziali hanno portato un uomo e credente nei campi di concentramento.
Morì per la fame e per una iniezione di cianuro. Aiutò i compagni di cella a ben morire, cantando e perdonando i loro carnefici. Del resto il suo Maestro lo aveva fatto su una Croce.
Lui aveva un numero stampato sulla sua divisa a strisce: 16670 ed era anche un sacerdote. Si chiamava Massimiliano Kolbe ed era un sacerdote francescano.
Non ha avuto nessuna onorificenza politica, ma la Chiesa lo ha dichiarato santo e martire.

Padre Massimiliano Kolbe trovandosi nella stessa situazione della Segre, ha perdonato.
Potrei citare anche la famiglia Bachelet. Il Prof. Bachelet è stato ucciso dalle Brigate Rosse. Ai funerali il figlio maggiore, a nome di tutti i familiari, ha perdonato gli uccisori del Padre. Per i credenti in Gesù Cristo il testimone è lui che sulla Croce dice: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Altri cattolici, e non cattolici, non riescono a farlo. Ma l’amore che si esprime col perdono vale più dell’odio che si esprime con la vendetta.

Ai giovani, oltre a far constatare le atrocità di un triste passato che in qualche parte del mondo si ripete, dicendo di costruire una nuova civiltà, occorre parlare sì di libertà e di rispetto, ma anche di amore, di fraternità, di perdono e di pace. Indipendentemente dalla razza, religione o lingua.

Ogni uomo, in quanto tale ha una “dignitas” che nessuno mai può violare.
Capisco che non è comprensibile da parte di tutti, ma io ne sono convinto e non perché sono un prete!

 

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S.Massimiliano “sapeva” come sarebbe finita ad Auschwitze subito si adattò: volontario ai lavori pesanti, il suo cibo dato ai più giovani, pregava e fece pregare fino alla sua morte per gli aguzzini. Neanche si poneva il problema del perdono. Volava più in alto. E volò in cielo, passando per camino. Come Gesù non si è perso nè sofferenze nè umiliazioni; anche dopo la morte. E la chiesa (sociologicamente intesa) per lui ha la memoria corta; nonostante Giovanni Paolo II.