Signore dacci Sacerdoti santi!
Di Padre Giuseppe Tagliareni
“L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni” (1 Tim 6,10-12).
San Paolo esorta il suo fedele discepolo Timoteo, che aveva messo a capo della chiesa di Efeso, a staccarsi dalla cupidigia del denaro e combattere per la fede in Gesù Cristo. Per questo non bisogna arricchirsi di altro che di virtù, quali la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza. Un uomo di Dio deve vivere di fede e per la fede: mostrare coi fatti quel Dio che è pienezza di vita e ricchezza assoluta, di fronte al quale tutto il mondo è nulla. La vera ricchezza è conoscere Gesù Cristo: in lui sono tutti i tesori della sapienza e della vera scienza (cfr. Col 2,3).
Ogni Sacerdote dovrebbe essere non solo un operatore del sacro, ma uno che sta davanti a Dio, che Lo conosce bene, che Lo tratta con assoluto rispetto, che Lo onora e Lo supplica a nome di tutti gli uomini, che Gli offre il culto a Lui gradito. Egli è l’uomo di Dio, scelto da Lui e tutto dato a Lui per essere rivolto a Dio a nome di tutto il suo popolo e rivolto alla gente a nome di Dio. Egli è dunque un mediatore speciale tra Cielo e terra, tra l’Eterno e il tempo, tra la Divinità e l’umanità, tra il mondo del sacro e il profano, tra la fonte della vita e coloro che bisognano della vita, tra la Santità assoluta e il peccato, tra la Giustizia e la colpa, tra la Misericordia e la miseria di cui è impastata ogni creatura.
Egli dev’essere Ministro di Dio, cioè Suo servo, e Profeta, cioè uno che proferisce la Sua parola e i Suoi giudizi, conosciuti mediante quella comunicazione che solo Dio può fare. Egli deve ope-rare con quella suprema libertà che gli viene dall’essere sottomesso solo a Dio e a chi legittimamente Lo rappresenta. Egli deve immedesimarsi a Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, unico vero Mediatore tra Cielo e terra, vero Dio e vero uomo. Come Figlio di Dio, Gesù è col Padre e tutto conosce di Lui, di cui è il Verbo; fattosi carne, figlio della Vergine Maria, egli è uomo come noi, messo al nostro livello, fatto debole e mortale come tutti noi.
Il Sacerdote deve farsi imitatore di Cristo e perciò conoscerlo intimamente e “stare con Lui” (Mc 3,14) come gli Apostoli, cioè vivere nella più piena familiarità con Gesù, rapportando a Lui tutto, proprio come facevano gli Apostoli. E il luogo in cui lo si può incontrare sempre presente e disposto al dialogo è il tabernacolo, lì dove c’è l’Eucaristia, “Dio con noi”, offerto in perenne sacrificio d’amore al Padre per i peccatori. Gesù ha voluto rimanere con noi vivo e vero nel mistero eucaristico non solo per darsi in cibo e bevanda di Salvezza alle anime che lo desiderano, ma soprattutto per stare accanto ai Suoi Sacerdoti, nelle cui mani si offre ad ogni santa Messa al Padre, attualizzando qui e adesso l’unico ed eterno Sacrificio del Calvario. I Sacerdoti perciò sono i suoi predi-letti; essi gli consentono di prolungarne la presenza misteriosa ogni ora del giorno e della notte, per continuare la sua opera di Salvezza in favore di tutti gli uomini, vivi e defunti.
La più grande sventura del Sacerdote è non avere con Cristo un rapporto vivo e vitale. Ciò capita quando egli si lascia prendere dalle mille incombenze quotidiane e corre affannato qua e là senza più avere il tempo di fermarsi presso di Lui. Allora egli rischia di non riconoscerlo più, di non sentire più la sua voce e i suoi richiami, di dimenticarne le consegne e le raccomandazioni, di non agire più secondo i suoi insegnamenti e comandi, di non discernere più la volontà del Padre dei cieli. Il Sacerdote così si trasforma a poco a poco in un funzionario del sacro, uno che celebra Messa e dà Sacramenti, uno che predica per ufficio un messaggio di vita che gli è quasi estraneo, uno che non vede l’ora di fuggire dalla chiesa, uno che è troppo impegnato per stare ad ascoltare i fedeli, uno che ha fretta. Sempre più egli si cura dei suoi bisogni e non delle anime che gli sono state affidate; come ogni essere umano vuole le sue gratifiche; ambisce fare carriera e avere più soldi; ama girare il mondo, navigare su internet e fare nuove conoscenze.
“Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,7-14).
Il santo Apostolo Paolo si è lasciato “afferrare” da Cristo e immergere nel Suo Cuore, in cui trovare tutti i tesori divini e “conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3,19), che può essere solo frutto di un dono, un dono d’amore e di pietà divina. Paolo ben ricorda di essere stato il Saulo che perseguitava Cristo e i suoi fedeli, e che solo per la Sua infinita Misericordia trovò la luce e la conversione. E ne fu riconoscente tutta la vita, che volle spendere per amare Gesù e farlo amare, sicuro che qui è la Salvezza eterna.
La missione del Sacerdote è altissima; chi mai può esserne all’altezza? La miseria dell’uomo lo compenetra nella carne e nell’anima, come ogni essere umano. Forse è proprio da qui che deve partire la risalita del Sacerdote per diventare vero uomo di Dio e Suo Ministro, vero seguace di Gesù e suo prolungamento, vero padre delle anime e datore di vita spirituale, vero fratello e amico sempre disponibile per gli altri, dimentico di se stesso. Tutto può partire da uno sguardo d’amore: del Sacerdote verso Gesù e di Gesù verso il Sacerdote. Bisogna che egli impari a praticare la preghiera di semplice sguardo, la preghiera contemplativa, che nello sguardo ci mette il cuore, l’anima, la mente e tutto il desiderio di cui è capace, per tuffarsi negli occhi di Dio, di Gesù Dio con noi, che ci ama alla follia e nel guardarci non vede i nostri peccati ma tutto il bene che ci vuole donare per renderci più simili a Lui e più graditi al Padre.
Questo è lo sguardo di amore e misericordia che salva l’uomo, ogni uomo, anche il Sacerdote, se si riconosce amato e amabile da Dio, da quel Dio che è Amore e Misericordia per tutti. Pure il Sacerdote è impastato di miseria, non meno degli altri. Bisogna avere il coraggio di guardare Gesù con tutta l’anima aperta al suo sguardo d’amore e di misericordia divina. Sperimentando la bontà e ricchezza infinita di questo sguardo d’amore, anche il Sacerdote diventa “buono”, “ricco di grazia e di misericordia”, immagine di Gesù e suo prolungamento per la Salvezza del mondo. Signore, dacci Sacerdoti così, dacci Sacerdoti santi! Amen!