Riscoprire la Scrittura: i titoli biblici attribuiti a Gesù

Di Sara Deodati*

La Bibbia insegna che Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). La verità, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) coincide con la Sapienza di Dio «che regge tutto l’ordine della creazione e del governo del mondo» (CCC, n. 216). Di conseguenza il dovere di conoscere e dire la Verità, che è Cristo stesso, scaturisce dalla volontà di obbedire a Dio.

In questo breve articolo ci occupiamo dei titoli biblici che contraddistinguono Gesù e la sua missione, perché pongono appunto l’accento sull’importanza dell’Incarnazione per la salvezza degli uomini di tutti i tempi.

Oltre agli avvenimenti salienti della vita di Gesù, esaminare gli appellativi a Lui riferiti, è importante per conoscerLo più intimamente e per comprendere la complessità della Sua missione. I titoli biblici non sono termini astratti ma espressioni che determinano il senso divino contenuto nelle situazioni concrete della vita di Gesù. Egli è infatti riconosciuto come Profeta, Messia, Cristo, Figlio del Dio vivente (Mt 16,16), uomo e servo, Verbo eterno, Figlio dell’uomo (Dn 8,17). Questi titoli sono tratti generalmente dalla tradizione biblica ed ognuno esprime un aspetto del mistero di Gesù. In realtà per avere un’idea della profondità della sua natura, dovremmo usarli tutti, sebbene l’espressione che meglio sintetizza il senso originale e fondante della sua persona è “Figlio”.

Nei Vangeli troviamo a tal proposito questa sua importante affermazione: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). Gesù mediante la sua personalità si rivela Figlio di Dio e, la manifestazione della sua filiazione rivela l’unità tra il suo essere uomo e Dio.

Gesù chiama Dio “Abbà” (papà, babbo) ricorrendo ad un termine che è una novità assoluta per l’aramaico del suo tempo, che non la utilizzava a causa del poco rispetto verso la trascendenza di Dio e che appariva addirittura disdicevole in quanto forma infantile di espressione. Chiamandolo «Abbà», Gesù invece manifesta con semplicità e profonda verità la sostanza del suo rapporto con Dio e della condivisione filiale della sua natura.

Titolo di Gesù usato solo da San Giovanni è «Io sono» (cfr. 6,35; 8,12; 10,7, 9, 11 e 14; 11,25; 14,6; 15,1 e 5). L’apostolo lo vede come essere preesistente, che viene dal cielo e ritorna al cielo. Il Figlio dell’uomo possiede, in un senso proprio ed esclusivo, l’unità dell’aspetto umano e di quello di divino. La ricchezza di significato di questo titolo può spiegare perché Gesù lo abbia preferito ad altri e scelto come appellativo per sé stesso in quanto non suscettibile in nessun modo di essere frainteso, come lo sono quelli di profeta, re o Cristo. Utilizzando questo titolo solo per sé, Gesù ha voluto educare i discepoli e la folla a entrare gradualmente e con verità nella conoscenza della sua persona e della sua missione, evitando ogni messianismo non autentico e malintesi circa la salvezza apportata.

I testi del Vangelo sono indispensabili perché mostrano la persona di Gesù, non solo come Figlio di Dio ma soprattutto come uomo. Solo conoscendo i fatti della Sua vita terrena si può infatti giungere ad una piena conoscenza della personalità e delle opere del Signore.  I racconti della vita pubblica di Gesù hanno proprio questo scopo: farci scoprire chi Egli sia veramente. La sua Incarnazione è dunque via che consente agli uomini di tutti i tempi di potersi identificare con Lui per avere la vita eterna.

 

* Laureata in Scienze Religiose nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

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