Persecuzioni e intimidazioni, ecco il nuovo linguaggio anti-democratico dei media italiani

Di Emanuela Maccarrone

Nelle ultime settimane il pubblico televisivo ha dovuto ad assistere ad un linguaggio mediatico sempre più ‘intimidatorio’.

Riportiamo solo due esempi.

Il primo riguarda la puntata del 24 novembre di ‘Coffee Break’, il programma trasmesso su La7, nel quale era ospite anche l’onorevole Andrea Romano, esponente del PD.

Ad un certo punto della puntata, si è parlato di vaccini anti-Covid e il presentatore ha posto la seguente domanda: “Andrea Romano ce l’abbiamo questo piano per il vaccino anti-Covid?”.

L’onorevole ha assicurato l’esistenza di un piano che vedrà coinvolto, accanto alla protezione civile, anche l’esercito per via dello sforzo logistico che la messa a punto richiederà. L’esponente PD ha spiegato l’obbligatorietà del vaccino che riguarderà, in un primo momento, le categorie più a rischio e successivamente l’intera popolazione, avvertendo che vi sarà più di un vaccino da somministrare. Allo stesso tempo, l’onorevole Romano ha assicurato: “sarà uno sforzo enormemente complesso su cui lo dico subito non dovremmo sbagliare, perché sarà il modo con cui l’Italia recupererà normalità”.

A questo punto, Andrea Romano ha manifestato l’importanza di combattere i pregiudizi anti-vaccino facendo chiarezza sulla questione: “Se ci saranno, e ci sono ancora, quelli che lavorano contro i vaccini, quelli lì dovranno essere zittiti, non bisognerà nemmeno dargli il diritto di parola da nessuna parte, lo dico a tutti i giornalisti, politici, tecnici ecc. perché davvero questa volta non scherziamo più”.

Particolare, poi, è quanto accade nel programma di Barbara D’Urso, Pomeriggio 5.

La signora D’Urso si è arrogata il diritto di giudicare tre sacerdoti, l’ultimo dei quali è stato don Bruno Borelli, parroco di Erba.

I sacerdoti in questione sono stati attaccati per il semplice fatto di aver predicato la dottrina della Chiesa Cattolica ai propri fedeli, riguardo all’aborto, all’omosessualità e al divorzio.

Premettendo che ogni cittadino in uno Stato democratico è libero di fare le proprie scelte e di seguire le proprie convinzioni, tale libertà, tanto rivendicata da una parte della popolazione, è la stessa che la democrazia riconosce a tutti i cittadini e che comprende, tra le altre, la libertà di pensiero e di religione.

La libertà di culto ammette che i fedeli possano manifestare la dottrina sia in privato sia in pubblico, questo vuol dire che un sacerdote ha il diritto di divulgare la legge di Dio. Con ciò, il sacerdote sa benissimo che non può né giudicare né condannare, poiché uno dei princìpi fondamentali del cristianesimo è il ‘non giudicare’.

E’ diritto e dovere di ogni sacerdote insegnare ai fedeli i comandamenti di Dio, nei confronti dei quali ognuno dispone del libero arbitrio di non seguirli, ma non si può impedire ad altri di parlarne e di praticarne l’insegnamento.

In una tale situazione sorgono spontanee alcune perplessità. La prima riguarda la cristianofobia: si predica tanto affinché smettano le persecuzioni e le uccisioni di tanti cristiani in giro per il mondo e poi si consente, negli Stati cosiddetti democratici, una persecuzione sociale e morale dei cristiani, anche attraverso gli atti di blasfemia, intimidendoli nel loro diritto di parola e di culto.
In secondo luogo ci si potrebbe veramente chiedere: in Italia si può ancora parlare, siamo ancora in democrazia? Il cittadino deve temere di essere ‘zittito’ o di essere condannato da qualche programma tv? E’ in atto un processo di ‘addomesticamento’ del popolo?

 

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