Le varie teorie o interpretazioni teologiche della Redenzione compiuta da Cristo

Di Sara Deodati*

Le due interpretazioni più generali del significato della Redenzione di Cristo che la tradizione teologica ha tratto dalla Sacra Scrittura sono quelle dette del riscatto e della soddisfazione.

La teologia del riscatto, che vede la Croce come la morte del Signore per i nostri peccati, valorizza soprattutto l’aspetto della giustizia di Dio offesa dalla gravità della colpa umana, alla quale era necessario dare una soddisfazione adeguata. Solo la passione e morte di Gesù, in quanto Figlio di Dio, ha potuto espiare il peccato, annullando le pene ad esso connesse.

La teologia della soddisfazione, che vede la Croce come la morte di Cristo per amore dell’uomo, sottolinea il carattere gratuito e misericordioso dell’iniziativa redentiva del Padre. A differenza della prima interpretazione, che esige però di essere completata, tale seconda teoria è ottimistica e gioiosa, in quanto non rappresenta in tutte le sue gravi conseguenze la realtà del peccato.

A motivo del suo carattere razionale, giuridico e formale, la teologia del riscatto, almeno fino al periodo pre-Concilio Vaticano II, è stata quella più seguita in Occidente, giungendo nei secoli XVI e XVII alle derive pessimistiche ed estremistiche del protestantesimo e del giansenismo. Queste ultime hanno origine essenzialmente da una concezione parziale e unilaterale dell’Antico Testamento, dal quale traggono una malintesa teoria dell’espiazione che vede la sofferenza e la morte come il castigo dovuto al peccato, costituendo la pena di una giustizia divina vendicativa. L’errore di entrambe queste correnti, quindi, consiste in certo modo nella riduzione del dogma cristiano della redenzione alla prospettiva giudaica dell’espiazione.

La metafora del riscatto, in effetti, non può essere intesa alla lettera o in una prospettiva meramente carnale e, tanto meno, in un senso in cui la Redenzione possa diventare come un mercato nel quale il Figlio di Dio versa con il proprio sangue il prezzo necessario a “ricomprare” l’uomo. Dio, infatti, non è debitore di nessuno, perché Lui è l’unico proprietario di ogni bene e tutto ha origine dalla sua misericordia. 

Tra i due grandi “poli” interpretativi del riscatto e della soddisfazione operati secondo le visioni tradizionali dalla Redenzione, si pongono due ulteriori teorie che focalizzano, rispettivamente, l’esigenza della riparazione e della partecipazione e quella del merito della Redenzione. 

La prima teoria vede l’umanità assumere, nel sacrificio di Cristo, un atteggiamento di “collaborazione” all’iniziativa gratuita di Dio, in contrapposizione alla disobbedienza e all’insubordinazione delle origini (cfr. Eb 5,8 e Fil 2,8). In questo senso Dio mostra un profondissimo rispetto ed amore per l’uomo ponendo l’esigenza di una sua riparazione. Volendo un’alleanza indissolubile con le sue creature, il Padre fa in modo che l’umanità partecipi responsabilmente all’attuazione della salvezza, in sommo grado con la Passione e morte di Cristo che, affidandosi totalmente alla volontà di Dio, consegna la sua vita (cfr. Lc 23,46), consapevole che solo con questo sacrificio può attuarsi il piano salvifico (cfr. Lc 14,36).

La metafora del merito cerca di spiegare come Gesù, soffrendo nell’obbedienza, abbia meritato la nostra redenzione. Sottolinea quindi tutto il valore veramente meritorio del dolore e della sottomissione liberamente accettati dal Figlio di Dio. Egli ha sofferto ed è morto come primogenito della nuova creazione e, sotto questo aspetto, ha meritato con la sua Passione e morte, la salvezza degli uomini. In tale teoria è presente anche un significato sociale, interpretato correttamente in chiave verticale e trascendente a differenza di quanto sarà con la Teologia della liberazione. Quest’ultima tendenza, infatti, “accredita” i meriti della Croce a tutti gli uomini di tutte le generazioni in quanto Cristo è visto come capo del suo popolo, ovvero della nuova umanità e primogenito della nuova generazione.

Soprattutto le opere del teologo peruviano Gustavo Gutiérrez Merino OP e del tedesco Johann Baptist Metz (1928-2019) pongono un nesso profondo tra il concetto di salvezza cristiana e quello di liberazione umana, nel senso che la prima non può esistere senza la seconda e viceversa. L’azione redentrice di Cristo riguarda infatti anche le situazioni di oppressione e inferiorità politico-sociale degli uomini e dei popoli, in quanto il regno di Dio è già presente nel mondo attuale e in esso deve svilupparsi e consolidarsi. 

Padre Gutiérrez, in teoria sostiene di non voler identificare la Redenzione con la liberazione politica, in quanto quest’ultima non potrà mai esaurire la prima ma, di fatto, la sua interpretazione teologica non riesce a esaurire il senso integrale della morte in croce di Gesù e della sua efficacia nel mondo. La Passione e morte del Signore, infatti, non sono solo l’espressione dell’opposizione del mondo a Cristo e di un modello e di una lotta contro le ingiustizie sociali ma, molto più, sono l’evento supremo della salvezza umana basato sulla vittoria definitiva sul peccato.

Anche la “teologia politica” di J.B. Metz sopravvaluta il carattere pubblico e sociale della redenzione, assegnando alla Chiesa il compito essenziale di risvegliare le coscienze e di renderle sensibili a esprimere un giudizio tra la parola di verità di Gesù e la “verità socio-politica” del mondo ed agire quindi di conseguenza. La Croce di Cristo non è infatti stata innalzata nel “privatissimum” dello spazio individuale umano né nel “sanctissimum” dello spazio unicamente religioso. Al contrario, secondo l’opinione del teologo tedesco la Bibbia ci presenta la salvezza inserita nell’ambito della realtà sociopolitica. La proclamazione di questa salvezza, per Metz, avrebbe coinvolto Gesù in un conflitto mortale con i poteri pubblici del suo tempo e, non tenerne conto, significherebbe “privatizzare” il messaggio biblico. Tale visione, come quella di Gutiérrez, ha l’indubbio merito di sottolineare il fatto che la Croce non può essere considerata in astratto o in maniera disincarnata, bensì come l’aspetto di una sofferenza provocata dalla lotta per la liberazione degli uomini dal dominio del male, ma manca nella presentazione fondamentale di quel valore primario del messaggio redentivo di liberazione che è, anzitutto, opera divina ed escatologica. Un’opera che redime anzitutto l’uomo dalla schiavitù del peccato.

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* Laureata in Scienze Religiose nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

 

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