Nascere avendo la stessa età della madre: il dramma degli “snowbabies”

Di Enzo Vitale

Si chiama Molly Everette Gibson, ha poco più di un mese, ma la sua “gestazione”, il tempo che va dal concepimento al venire alla luce, non è stato di 9 mesi, ma di 27 anni. Un tempo, tra l’altro, per lo più trascorso ad una temperatura di meno 195 gradi, in un congelatore nel Tennessee (USA) che non le permetteva il naturale sviluppo. Nel calore del grembo materno c’è stata solo per le ultime classiche 40 settimane, terminate appunto, lo scorso ottobre.

Molly è il frutto dell’impianto di un embrioncino congelato 27 anni fa, nell’ottobre del 1992.

La donna che negli ultimi nove mesi l’ha portata in grembo, Tina, che per il diritto e l’evidenza è la mamma, al tempo in cui Molly veniva abbandonata in un deposito per essere stoccata in un congelatore, aveva appena 18 mesi… Madre e figlia, di fatto, quasi coetanee, per quanto riguarda il tempo che definiamo dell’ “essere al mondo”.

In realtà, Molly, sebbene sia una bimba da record, non è nuova a questo tipo di situazioni perché nella sua famiglia, già la sua sorellina Emma, anch’essa crioconservata a seguito di concepimento, ha dovuto attendere 24 anni prima di essere impiantata in un utero, disponibile ad accoglierla e darle la possibilità di venire alla luce.

Molly ed Emma hanno trovato braccia disponibili ad accoglierle perché la donna che le aveva concepite, la madre biologica, le donò ad un’associazione National Embryo Donation Center (Nedc),di ispirazione cristiana (più precisamente, presbiteriana) che ha come scopo quello di conservare gli embrioni concepiti in laboratorio e non impiantati, per poi donarli a coppie con problemi di sterilità. Questi embrioni congelati sono anche conosciuti col nome di “snowbabies”.

Questi i fatti: pochi, essenziali ma carichi di interrogativi.

Per la morale cattolica la questione degli embrioni congelati è ancora aperta e dibattuta: la discussione è assai complessa e ruota attorno alla domanda se impiantare queste vite oppure attendere la loro naturale fine/morte. Attorno a questi dubbi si aprono scenari e possibilità di discussione che rendono i profili bioetici enormi!

Il problema ha la sua radice nell’incontro tra un desiderio smisurato di maternità da parte di coppie con o senza problemi di sterilità e la situazione kafkiana in cui si ritrovano gli embrioni congelati. Nel caso della Nedc l’adozione è prevista solo per coppie sposate da almeno 3 anni, eterosessuali e con altre caratteristiche che i politically correct non lesinerebbero nel ritenere discriminatorie: non è ammessa la maternità surrogata!

Non potendo e non volendo effettuare una disamina su tutte le conseguenze del caso, mi limito a sole due osservazioni che condivido.

Innanzitutto, ho letto in rete che «la notizia è stata raccontata negli Stati Uniti in modo del tutto casuale». Questo dato ha dell’agghiacciante, e non solo perché parliamo di crioconservazione. Di fatto testimonia la “glacialità” – è il caso di dirlo – delle coscienze oramai assuefatte a fenomeni e situazioni che sconvolgono l’ordine naturale.

La seconda considerazione nasce dallo slogan letto sul sito della onlus che si occupa della FET (frozen embryo transfer): «Giving life. Giving hope. Building families» che, traducendo per me, sarebbe: “Dare vita. Dare speranza. Costruire famiglie”.

Non c’è dubbio: apparentemente assai nobile lo scopo della onlus. Ma mi chiedo: la nobiltà delle intenzioni giustifica il “giocare con la vita umana”? Il desiderio di maternità deve tollerare situazioni che permettano e questa e ad altre strutture pseudo-sanitarie di congelare un essere umano per più di un quarto di secolo?

Le conseguenze etiche sono notevolmente rilevanti.

Qualcuno mi ha insegnato che Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai.

E mi chiedo: cosa ne seguirà a questa situazione che non tiene in minimo conto ciò che la natura ha stabilito in modo tanto ordinato?

Una sola certezza che diventa preghiera: grazie Signore che nonostante tanta brutalità nella Tua Infinita Sapienza ci fai Dono di Grazia nel volto di queste bimbe che, per noi, sono e resteranno, segno di Speranza.

 

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