“Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne”

SI CELEBRA OGGI NELLA CHIESA LA SOLENNITÀ DELLA DIVINA MATERNITÀ DELLA VERGINE MARIA

Di Sara Deodati

    Nel 1931, ricorrendo il XV Centenario del Concilio di Efeso, Papa Pio XI istituì la festa liturgica di Maria Santissima Madre di Dio, da celebrarsi l’11 ottobre. Con la riforma liturgica del 1969 fu spostata all’ultimo giorno dell’Ottava di Natale (1° gennaio). 

    Con questa solennità, che permette di entrare nel mistero della salvezza, viene esaltata la singolare dignità di Maria, perché «per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita» (Colletta della Messa del Giorno).

    Per parlare di Maria come Madre di Dio ci sarebbero da citare innumerevoli documenti del Magistero della Chiesa che, senza dubbio, spiegherebbero in modo esaustivo tutta l’importanza e il significato del dogma. Ad esempio la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium (21.11.1964), la Lettera Enciclica di Pio XI Lux Veritatis (25.12.1931), quella di Paolo VI Christi Matri Rosarii (15.09.66) oppure, sempre di Papa Montini, le Esortazioni Apostoliche Signum magnum (13.05.67) e Marialis cultus (2.2.1974). Anche Giovanni Paolo II ha contribuito in modo determinante all’approfondimento della teologia della maternità divina di Maria, cominciando con l’Enciclica Redemptoris Mater (25.03.87) per finire con la Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae (16.10.2002). 

    Il dogma della maternità divina di Maria è il tema centrale di tutta la Mariologia in quanto dà senso e rende comprensibili tutte le verità che la teologia dice di Maria: è immacolata per essere degna Madre di Dio; è vergine per realizzare in pienezza la sua duttilità all’opera e alla persona di suo Figlio; è glorificata, cioè assunta nella gloria di Dio; è associata all’opera di suo Figlio (corredentrice) perché il suo fiat la introduce nel mistero redentore di Cristo. La maternità può essere intesa in senso improprio cioè come madre di un figlio che con il tempo acquisterà e manifesterà la “divinità” nel corso della vita oppure in senso proprio cioè come la madre di un figlio che fin dal primo istante del suo concepimento è Dio, pur assumendo carne umana. Parlando della maternità divina di Maria la teologia cattolica la intende in senso proprio. Per spiegare meglio questo concetto si può, per analogia, far riferimento a quello di maternità umana: relazione reale e permanente che la donna-madre ha con la persona del figlio a causa della partecipazione della propria natura umana attraverso il concepimento, la gestazione, il parto. Per maternità divina si intende invece la relazione reale e permanente che la Vergine Maria ha con la persona divina del Verbo, a causa della partecipazione a Lui della propria natura umana, attraverso il concepimento verginale, la gestazione e il parto verginale. 

    Da queste premesse ci si può chiedere se a Maria si possa effettivamente riconoscere, in senso proprio, l’appellativo di Madre di Dio e se Ella abbia concepito e veramente generato secondo la natura umana il Figlio di Dio. La risposta è sì poiché Maria ha offerto al Verbo la sua carne.

    La Scrittura non menziona espressamente il titolo di “Madre di Dio” ma afferma chiaramente due verità: Gesù è veramente Dio ed è veramente figlio di Maria (per logica se Gesù è Dio, Maria è la Madre di Gesù, allora Maria è la Madre di Dio). La Bibbia la presenta quindi come una donna profondamente legata a Cristo e alla Sua missione. Non di meno è possibile rinvenire nella Scrittura delle espressioni praticamente equivalenti a quella di “Madre di Dio”.

    Prendiamo anzitutto in esame quanto afferma San Paolo nella Lettera ai Galati (4,4): «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge». Qui è evidente come l’Apostolo voglia chiaramente sottolineare che il Figlio di Dio sia nato da una donna. Anche nella Lettera ai Romani (9,5) Paolo evidenzia che Cristo è Dio e che la sua realtà di uomo-Dio si è storicizzata grazie alla generazione nella carne di una donna appartenente al Popolo di Israele: «da essi [dai patriarchi] proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli».  

    L’evangelista Matteo, dal canto suo, insiste nel mettere in risalto come Maria di Nazareth abbia realmente generato Gesù: «Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21); in questo passo dedicato all’annunzio a Giuseppe appare chiaro che il bambino concepito da Maria ha caratteri divini. E ancora: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23).

    In Marco leggiamo: «Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria?», significando anche qui che Gesù è il figlio di Maria.

    Luca presenta Maria come Madre di Dio, con chiari parallelismi a segni e simbologie dell’Antico Testamento come l’Arca (Lc 1,39-44) o la tenda (Lc 1,35), immagini che stanno ad indicare il “grembo” ricolmo della presenza di Dio; infine c’è anche Elisabetta che la saluta esplicitamente come «Madre del mio Signore» (1,43).

    Concludendo la rassegna scritturistica, per Giovanni Maria è sempre chiamata chiaramente “la madre”, ovviamente del Verbo incarnato.

    Maria è quindi Madre dell’unica persona divina che si è fatta uomo ed è, per usare una definizione di S. Ambrogio, Dei genitrix ma Maria non può essere certo considerata anche Madre della natura divina del Verbo.

    Le due verità di cui abbiamo parlato cioè che Gesù è veramente Dio e Maria è la sua vera madre, sono presenti nei Santi Padri sin dagli inizi della Chiesa ma l’espressione Madre di Dio  è stata usata per la prima volta probabilmente da Origene nella prima metà del III secolo ed è attestata anche dalla più antica preghiera mariana che si conosca: Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genitrix risalente probabilmente al III sec. quindi già da allora si attribuiva a Maria il titolo di Théotokos. Ed è all’inizio del quarto secolo che questo titolo conobbe uno sviluppo considerevole nella spiritualità popolare e, perciò, molte chiese furono dedicate alla Théotokos. La usa anche, tra gli altri, Giuliano l’Apostata («Voi non cessate di chiamare Maria Madre di Dio»). Maria comincia così ad essere invocata come Theotókos, la DeìparaDei genetrix, che letteralmente significa “colei che genera Dio”.

        La necessità di definire la divina maternità di Maria come una verità di fede apparve quando Nestorio (uno dei suoi più forti oppositori fu Cirillo di Alessandria) affermò che nel Cristo c’erano due soggetti o due persone, corrispondenti alle nature divina ed umana, moralmente unite: la persona divina generata dal Padre dall’eternità e la persona umana generata nella storia da Maria. Per lui, Maria non può essere chiamata madre di Dio, poiché lei è solamente la madre del Cristo-uomo. Di conseguenza “solo Dio Padre potrebbe ricevere il titolo di Théotokos, ma Maria, tutt’al più, quello di Christotokos”

           Cirillo ribadisce la piena legittimità della maternità divina di Maria in forza di un miracolo che permette la presenza di due nature in una sola persona; la natura divina è stata unita a quella umana sin dal primo concepimento di Gesù nel grembo di Maria: Maria è dunque veramente Madre di Dio. Il Concilio di Efeso (431)  stabilisce dogmaticamente che la natura divina, preesistente da sempre, e la natura umana, generata da Maria per volontà e intervento diretto di Dio, sono entrambe presenti in una sola persona: non è mai esistito, neppure per un istante, un figlio di Maria privo della sua ipostatica divinità; in questa affermazione è contenuto il pieno valore del sacrificio salvifico di Gesù che solo così può portare con sé, alla condizione di santità divina, coloro che a buon diritto, per dono d’amore del Padre, sono suoi veri fratelli. Si dichiarò solennemente Maria come madre di Dio.

        Riflettere su questo dogma ci fa capire come Maria, strettamente legata a Gesù, sia tutta per Lui e lo introduce nel mondo divenendo il vertice delle sorti dell’umanità. In virtù dello Spirito Santo rende Cristo nostro fratello con la sua divina maternità e, come è Madre di Cristo nella carne, così lo è del Corpo mistico di Cristo, che siamo tutti noi fedeli.

        La sua maternità si estende naturalmente anche ai non cristiani e persino ai non credenti. 

Vi invito, a tal proposito, a leggere il seguente brano: «[…] Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia». E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride». “Bariona” è un originalissimo racconto scritto da un autore che ha distrutto la fede di intere generazioni, il “campione” dell’ateismo del XX secolo; sto parlando dello scrittore francese Jean Paul Sartre che nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo Treviri, scrive un testo teatrale sul mistero dell’Incarnazione. Nonostante sia diventato un “cattivo maestro” è innegabile come queste pagine su Maria e sul suo inimitabile rapporto con quel Dio che si era fatto uomo, sul bimbo che ella aveva partorito e che giorno per giorno andava allevando, siano di una bellezza disarmante a dimostrazione anche di come il Signore sappia sempre trarre figli di Abramo anche dalle pietre (Mt 3,9).

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