Quella “doppiezza” che caratterizza il comunismo italiano…

PUBBLICAMENTE IL PARTITO ERA PER LA DEMOCRAZIA, LA LIBERTÀ E IL RISPETTO DELLE TRADIZIONI, SPECIE QUELLE RELIGIOSE. NEI FATTI QUESTA IMMAGINE RASSICURANTE ERA CONCORDATA FINO ALL’ULTIMA VIRGOLA CON IL PARTITO COMUNISTA SOVIETICO E IL GRUPPO DIRIGENTE STALINIANO, A MOSCA.

Di Andrea Rossi

Leggi qui la prima puntata del trittico sul Comunismo italiano: Nel DNA del Comunismo italiano c’è un “cupio dissolvi” di tradizione, religione e rispetto per il prossimo

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Palmiro Togliatti era tutto fuorchè uno sprovveduto e al suo ritorno in Italia, nel 1944, propose come strategia ufficiale del PCI quella dell’unità nazionale, assieme alle altre forze politiche che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si erano riunite a Brindisi e successivamente a Napoli attorno al re Vittorio Emanuele e al suo primo ministro, Pietro Badoglio.

Tale decisione, avvenuta quando la liberazione del paese da parte degli Alleati era lontana ancora un anno, fu probabilmente il primo esempio di quella “doppiezza” che caratterizzò il comunismo italiano per decenni: pubblicamente il partito era per la democrazia, la libertà e il rispetto delle tradizioni, specie quelle religiose. Nei fatti questa immagine rassicurante era concordata fino all’ultima virgola con il partito comunista sovietico e il gruppo dirigente staliniano, a Mosca.

Il fine era quello di allargare il consenso nelle masse senza suscitare sospetti negli angloamericani, i quali a loro volta non potevano fare a meno delle formazioni comuniste che combattevano la guerriglia contro fascisti e tedeschi nel nord Italia.

Ai combattenti delle formazioni partigiane “garibaldine”, di ispirazione marxista, veniva comunicato l’esatto opposto tramite Luigi Longo e i suoi collaboratori ai vertici del Comitato di liberazione nazionale (CLN).

Longo, comunista ferree convinzioni staliniste, aveva combattuto nella guerra civile spagnola e successivamente contro i tedeschi nella resistenza francese, e aveva perfettamente compreso come l’elemento propulsivo per i partigiani comunisti non poteva che essere una insurrezione a sfondo rivoluzionario; ed effettivamente niente meno che la sospirata “rivoluzione bolscevica” poteva compensare i sacrifici sostenuti dalla rete clandestina del PCI durante diciotto mesi di guerra civile.

Il 25 aprile 1945 le differenze fra l’atteggiamento dei comunisti e quello delle componenti cattoliche e liberali del CLN apparvero evidenti: ovunque nel nord, l’insurrezione fu accompagnata da una epurazione spietata condotta dalle formazione di ispirazione marxista, che finì per colpire prima i fascisti (non meno di diecimila passati per le armi a guerra finita, secondo i dati più attendibili) e subito dopo contro gli esponenti della democrazia cristiana e del clero: dal maggio 1945 al maggio del 1946 furono infatti uccisi quindici sacerdoti e non meno di una decina di dirigenti locali della DC o sindacalisti di ispirazione cristiana, senza contare i feriti o gli scomparsi, di cui più nulla si seppe.

Fallita l’ipotesi rivoluzionaria predicata da Longo per la presenza massiccia degli eserciti alleati nel paese, Palmiro Togliatti sconfessò la linea di Longo in un discorso tenuto a Reggio Emilia nel settembre 1946 che aveva il fine di rassicurare i “ceti medi” emiliani e romagnoli.

Le violenze progressivamente cessarono, ma le forze dell’ordine continuarono, specie nelle regioni del nord Italia, a scoprire depositi di armi mai consegnate agli Alleati al termine della guerra, mantenute in perfetto funzionamento dagli ex partigiani garibaldini, cosa che portò i patrioti di ispirazione cattolica a fare altrettanto; questi eventi, assieme all’approssimarsi delle elezioni politiche del 1948 convinsero il governo di Alcide De Gasperi ad estromettere il PCI dalla compagine governativa.

Come noto, il 21 aprile 1948 la vittoria della DC e dei suoi alleati risultò talmente schiacciante da rendere impossibile qualsiasi tipo di manovra insurrezionale da parte dei comunisti, i quali, peraltro nel corso dei moti successivi all’attentato a Togliatti del luglio 1948, dimostrarono pienamente la capacità di mobilitazione sociale e paramilitare del PCI. Con l’entrata a pieno titolo dell’Italia nella NATO e i contemporanei aiuti del piano Marshall, la guerra civile parve scongiurata. L’ingombrante presenza di un partito che era “alleato dei nemici” del nostro paese, però, era destinata a consolidarsi, e a durare nel tempo.

 

La terza puntata sarà pubblicata nei prossimi giorni.

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