La missione della famiglia in una società sempre più individualista

LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA (ANCHE DI UNA FAMIGLIA SPIRITUALE) È QUELLA DI VIVERE L’AMORE E FORMARE LE PERSONE A QUESTO GRANDE VALORE CHE SI CONCRETIZZA IN UN “VISSUTO DI COMUNIONE”, ESSENZIALE IN UNA SOCIETÀ INDIVIDUALISTA

Di Don Gian Maria Comolli*

La missione della famiglia è di vivere l’amore e formare le persone a questo elevato valore che si concretizza in un “vissuto di comunione”, essenziale in una società sempre più individualista.

Perché l’amore è vitale? «Grazie all’amore ogni persona, uomo e donna, è riconosciuta, accolta e rispettata nella sua dignità. Dall’amore nascono rapporti vissuti all’insegna della gratuità, la quale rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda» (Compendio DSC, 221).

Di conseguenza, la famiglia diviene la prima e l’insostituibile scuola di socialità; esempio e stimolo per rapporti comunitari all’insegna della giustizia, del dialogo e della solidarietà.

Il Compendio fissa l’attenzione particolarmente sugli anziani che vivono nella famiglia indicandoli come «un esempio di collegamento tra le generazioni, una risorsa per il benessere della famiglia e dell’intera società» (Compendio DSC, n. 222).

Gli anziani sono i testimoni e i custodi delle tradizioni e della memoria storica di un popolo che rischia di smarrirsi. Gli eventi della loro vita sono salvaguardati tenacemente, ricordati e narrati facilmente in un ambito d’ascolto. Il cardinale Giovanni Colombo (1902-1992) integra il pensiero affermando che lungo l’ampio arco dei suoi molti anni l’anziano «è andato accumulando un ricco patrimonio di esperienze di lavoro e di vita. Il rapido progresso tecnico della nostra epoca può avere oltrepassato le prime, rendendole anacronistiche e quasi inservibili, ma le esperienze di vita permangono come un tesoro sempre attuale e valido» (La pastorale della terza etàIl Segno, 1973, p. 23).

Per questo la Bibbia avverte: «Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice» (Sir 25,6). Una società indifferente al passato e agli insegnamenti degli anziani non avrà futuro essendo un albero senza radici. E Papa Bergoglio ammonisce: «Quando una società perde la memoria è finita» (15 giugno 2014).

L’amore, ricorda il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, «si manifesta nel dono totale di due persone nella loro complementarità; l’amore non può essere ridotto alle emozioni e ai sentimenti, né, tanto meno, alla sua sola espressione sessuale» (n. 223), mentre la società sta relativizzando e banalizzando sia l’amore che la sessualità promuovendo gli aspetti effimeri dell’esistenza ed oscurando quelli fondamentali. Differente è la proposta della Chiesa cattolica, i cui fondamenti lineari e trasparenti, sono riassunti nell’enciclica Humanae vitae (1968) di san Paolo VI che possiamo riassumere in tre affermazioni:

– «Qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (n. 11). Gli atti coniugali esprimono, oltre all’amore tra i coniugi, anche la loro donazione vicendevole;

– «Per sua intima natura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi scritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna» (n. 12);

– la donazione totale e vicendevole non deve escludere nulla, neppure la possibilità procreativa; diversamente, la donazione è incompleta: «Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità e alla maternità» (n. 12).

Per quanto detto risulta da respingere «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (enciclica Humanae Vitae, n. 14). Tutto ciò oltrepassa la funzione biologica e l’istintività, esigendo contemporaneamente il dialogo dei sensi e del cuore, l’autocontrollo e il rispetto reciproco.

Il numero 224 del Compendio DSC condanna, anche senza nominarla, la “teoria gender” che dissocia l’identità sessuale (o “sesso biologico”) dall’identità di genere, interpretata come ruolo sociopsicologico intercambiabile “a volontà”, riconoscendo pure un’identità neutra.

Il numero 225 del Compendio evidenzia che l’amore coniugale ha come colonne portanti la “stabilità” e “l’indissolubilità”. È un chiaro ed esplicito rifiuto del divorzio, in Italia autorizzato civilmente dalla legge n. 898 del 1° dicembre 1970.

Poi, nel corso dei decenni, il matrimonio è stato sempre più banalizzato, giungendo persino nel 2015 all’approvazione del “divorzio breve”. Quando è presente il consenso di entrambi i coniugi, quindi, il vincolo matrimoniale può essere dissolto, anche in presenza di figli minorenni, in soli sei mesi (non più nei tre anni precedentemente previsti).

Con il “divorzio breve” si volle comunicare che il matrimonio non è un bene societario ma unicamente un “contratto” individualista e, in definitiva, un “fatto privato”, separato dalle dimensioni sociali e istituzionali.

Negli ultimi tempi alcuni parlamentari hanno quindi logicamente sollecitato il passaggio a quello che giornalisticamente è stato definito il “divorzio lampo” o “divorzio immediato”, oppure ai cosiddetti “patti pre-matrimoniali”, una sconfitta totale per la società e per lo Stato!

Se passasse uno di questi “progetti” o similari, si liquiderebbe definitivamente la famiglia, dimenticando quanto affermato, in conformità alla Costituzione repubblicana, dallo scrittore, politico e cofondatore del Movimento dei Focolari Igino Giordani (1894-1980), per cui «salvare la famiglia è salvare la civiltà. Lo Stato è fatto di famiglie; se queste decadono, anche quello vacilla».

Per comprendere la gravità del fenomeno, esaminiamo i dati. Nel 1995, venticinque anni dopo l’approvazione della legge, per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, mentre nel 2018 si è arrivati a 311 separazioni e 182 divorzi ogni 1000 matrimoni per un totale, in un anno, di 94.165 separazioni e 64.371 divorzi. Da notare che agli inizi degli anni 1970 i matrimoni erano circa 500mila l’anno, nel 2018 sono calati a 203.258. E il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi riguardano coppie con figli nati nel corso del matrimonio.

Ma il divorzio, come ricorda il Compendio DSC, provoca ai figli “risvolti dannosi”, poiché soprattutto bambini e ragazzi in età adolescenziale non possiedono le capacità per comprendere ciò che sta avvenendo.

La stabilità e l’indissolubilità dell’unione matrimoniale, quindi, «non devono essere affidate esclusivamente all’intenzione e all’impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti, compete piuttosto all’intera società. La necessità di conferire un carattere istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale» (Compendio DSC, n. 225).

La Chiesa cattolica, da sempre, ha disconosciuto il divorzio. A chi ha abbandonato il matrimonio e l’unità familiare ha sempre chiesto di astenersi dalla santa Comunione, costituendo altrimenti una contraddizione il ricevere nella loro condizione il sacramento della “fedeltà di Dio”. Ma allo stesso tempo la Chiesa «non abbandona a sé stessi coloro che, dopo un divorzio, si sono risposati. La Chiesa prega per loro, li incoraggia nelle difficoltà di ordine spirituale che incontrano e li sostiene nella fede e nella speranza» (Compendio DSC, n. 226).

 

*Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.

Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it).

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