Fede come virtù: la risposta dell’uomo all’auto-rivelazione di Dio

DALLA SACRA SCRITTURA FINO AL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA È POSSIBILE RINVENIRE MOLTEPLICI ASPETTI CHE CONTRADDISTINGUONO LA FEDE COME VIRTÙ SOPRANNATURALE, NEL SENSO DI RISPOSTA POSITIVA DELL’UOMO ALL’AUTO-RIVELAZIONE DI DIO. DALLA “NECESSITÀ” DELLA FEDE, POI, CONSEGUONO DIVERSI ATTI ED OBBLIGHI CHE CONDUCONO L’ANIMA UMANA ALLA COMUNIONE CON IL PADRE, IL FIGLIO E LO SPIRITO SANTO

Di Sara Deodati

La parola “fede” può avere diversi significati, non necessariamente tutti circoscritti all’ambito religioso. Se per fede naturale s’intende l’assenso dell’intelletto motivato dal valore di un incontro o di una testimonianza, questa stessa fede diventa una virtù soprannaturale se, con la grazia di Dio, si credono vere le cose rivelate da Lui non solo per la loro intrinseca verità, percepita col lume della ragione, ma anche per l’autorità di Dio stesso.

Agostino da Ippona con una formula molto efficace ha spiegato come, nella fede, al fatto intellettuale sia sempre congiunta una particolare attività della volontà: «credere non si può se non si vuole» (credere non potest nisi volens).

La fede pertanto è innanzitutto un dono di Dio che attende però una risposta umana, ovvero l’atto di fede. Questa affermazione comporta due aspetti diversi ma complementari nella “risposta” dell’uomo a Dio: un atto interiore che si deve “completare” con un atto esterno. Sia che ci si appoggi sulla testimonianza – si crede perché qualcuno ci trasmette la fede o perché altri hanno creduto prima di noi – sia che si aderisca all’oggetto stesso della fede, che appare ragionevole, in entrambi i casi il credente perviene a una certezza.

Secondo il Concilio Vaticano II (1962-1965) l’atto interiore di fede è un atto dell’intelligenza umana per il quale la persona aderisce alla verità prima e si unisce «con tutto il cuore a Dio Padre onnipotente e al Cristo, Figlio di Dio e Salvatore» (Lumen gentium, 21 novembre 1964, n.15).

La volontà muove quindi l’intelletto e lo porta a credere alla verità e per questo si afferma che la fede ha la sua origine nella volontà ma si attua nell’intelletto.

La “struttura” dell’atto di fede che ne consegue pertanto è il seguente:

  • atto di volontà (voler credere),
  • motivo di credibilità e, infine,
  • “cerniera” tra fede naturale e soprannaturale, la grazia.

Mentre nella definizione che il Concilio Vaticano I (1869-1870) dà della fede è sottolineato principalmente il contenuto del credere e il suo fondamento nell’azione divina che la precede e la rende possibile, nei documenti del Concilio Vaticano II si avverte una maggiore focalizzazione della virtù diretta alla comunione personale con Dio, evidenziando così una impostazione più antropologica, orientata cioè al valore del credere.

Dopo aver sinteticamente tracciato un profilo, nella Tradizione e nel Magistero della Chiesa, del concetto di fede come virtù, passiamo ora a delineare alcuni elementi essenziali presenti nella Sacra Scrittura che denotano l’adesione a Dio anzitutto come risposta alla sua auto-rivelazione. Tale percorso, già intrapreso nella “pedagogia divina” nell’Antico Testamento, raggiunge il suo punto culminante nella parola e nell’opera di Cristo. Nel Vangelo, infatti, la fede è annunciata come atteggiamento complessivo dell’uomo di fronte al Dio dell’Alleanza, “prendere sul serio” Dio e, così, donarsi a Lui. Non si tratta dunque di ritenere solo per veri e in modo esclusivamente intellettuale alcuni dogmi o dei fatti storici perché, nella “fede del Nuovo Testamento”, l’uomo s’impegna con tutte le sue facoltà ad aprirsi al Dio vivente e, quindi, al suo amore, alle sue promesse e alle sue esigenze.

Da quanto finora esposto si deduce che la fede è un dono di Dio e, allo stesso tempo, il frutto di una risposta volontaria, risposta che si configura come l’atto umano più importante della vita di ciascuno. Come virtù la fede è quindi la capacità mossa dalla grazia di accettare la verità di Dio mentre come atto si manifesta in quella capacità nell’agire concreto della persona.

Virtù e atto sono evidentemente connessi: non si può parlare di virtù senza atti concreti e gli atti sono espressione della virtù. Affermava in tal senso il fondatore dell’Opus Dei, san Josemaría Escrivá (1902-1975): «il valore della fede non consiste soltanto nella chiarezza con cui la si espone, ma nella risolutezza con cui la si difende per mezzo delle opere» (Amici di Dio, Edizioni Ares, Milano 1978, n. 198).

Non di meno è vero che la virtù si configura come habitus (abito, consuetudine di fede) anche quando non dà luogo ad atti specifici (il bambino che viene battezzato).

Ma quali sono gli atti specifici della fede? A seconda del loro contenuto e delle loro finalità essi possono configurare una fede:

  • esplicita, con accettazione delle singole verità di fede nella misura in cui sono conosciute;
  • implicita, a seguito dell’accettazione generale e inclusiva di tutto ciò che Dio ha rivelato e la Chiesa insegna;
  • interna, che dipende dalla natura interiore dell’atto di fede;
  • esterna, che dipende dalla natura “esteriore” dell’atto di fede;
  • formale, nella quale l’atto di fede corrisponde a una vera e propria confessione di contenuti (es. recita del Simbolo);
  • espressa, nella quale l’atto di fede è una manifestazione concomitante all’esercizio di altri atti o virtù della vita di grazia (es. partecipazione all’Eucarestia).

     Il Magistero della Chiesa ha nel tempo definito variamente la fede ponendo l’accento ora più sulla “fede che viene creduta” (fides quae creditur) e quindi sul suo aspetto intellettivo (Concilio Vaticano I) ora più su quello volitivo e quindi sulla “fede in virtù della quale si crede” (fides qua creditur). Come spiega il Concilio Vaticano II: «A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede (Rm 16,26) con la quale l’uomo gli si abbandona a Dio tutto intero e liberamente prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e assentendo volontariamente alla rivelazione che egli fa […] Affinché poi l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni» (Dei verbum, 18 novembre 1965, n. 5).

Venendo ora agli obblighi della virtù in oggetto, possiamo dire che i doveri riguardanti la fede che Dio ci dona sono principalmente tre:

  • conoscere le verità rivelate,
  • confessarla internamente ed esternamente,
  • preservarla da qualsiasi pericolo.

La fede impone quindi anzitutto di conoscere il depositum fidei, cioè il suo oggetto specifico, il contenuto essenziale sintetizzato nei Simboli e nella Professione di fede. Già Sant’Agostino e Tommaso d’Aquino sostenevano come l’oggetto della fede consistesse nel credere Deum (credere tutto quello che Dio rivela), credere in Deum (credere in Dio e dirigere la nostra vita a Lui) e, infine, credere Deo (credere per Dio che mai ci inganna). Ne consegue come ogni cristiano debba conoscere necessariamente i dogmi fondamentali della fede (il Credo), i Comandamenti di Dio e della Chiesa necessari per la salvezza; la preghiera e, in particolare, quella del Padre Nostro, che occorre recitare con cuore sincero per rivolgersi e chiedere doni a Dio e, infine, i Sacramenti, mezzi necessari per ottenere la grazia.

Poi tutti, ciascuno in proporzione alle proprie capacità, hanno il dovere di approfondire e “andare fino in fondo” nella conoscenza della fede (acquistando così la scienza teologica).

Passiamo quindi al secondo obbligo che è quello della confessione interna ed esterna. Non è ovviamente sufficiente conoscere ed accettare le verità che Dio ci ha rivelato senza un fondamentale atto di fede interno ed esterno. Servizio e testimonianza della fede sono indispensabili per la salvezza, come ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica: «il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di essa, ma anche professarla, darne testimonianza con franchezza e diffonderla» (n. 1816). Infine, il cristiano ha l’obbligo di custodire la fede da ogni tipo di pericolo, reale o potenziale, evitando tutto ciò che possa essere un danno per la fede (es. letture o amicizie pericolose, tentazioni, superstizioni, ecc.), perseverare nella fede e fortificarla nell’esercizio e nell’esempio quotidiano.

Caratteristiche e necessità della fede danno luogo a quell’habitus che è un requisito fondamentale per la salvezza per tutti i battezzati che hanno l’uso della ragione. A questi ultimi si richiede la fede attuale, ossia l’esercizio cosciente attraverso atti concreti di virtù interni ed esterni. Anche chi non conosce il Vangelo, ma si sforza di fare la volontà di Dio conosciuta mediante il dettame della coscienza, può conseguire allo stesso modo la grazia. Andrebbe quindi interpretata in senso propriamente ecclesiologico la formula patristica Extra Ecclesiam nulla salus, ovvero Al di fuori della Chiesa non v’è salvezza. Come ricorda il Concilio Vaticano II, infatti, «Dio, attraverso vie a Lui note, può portare gli uomini, che senza loro colpa ignorano il Vangelo, alla fede, senza la quale è impossibile piacergli» (Ad gentes, 7 dicembre 1965, n. 7). La fede diventa quindi indispensabile perché consente all’uomo di conoscere il mondo soprannaturale a cui Dio lo chiama. Diventa così necessario per lui credere e amare la Rivelazione divina, ma nel caso un uomo non conosca la verità rivelata, Dio gli darà i mezzi per la salvezza se si sforza di vivere i precetti della legge naturale e, pertanto, vive in modo onesto e retto.

Se da un lato, ogni essere umano può comprendere la necessità della fede nella sua vita, dall’altro possono sorgere degli elementi che possono oscurarne la ragione o disturbarla mettendolo in difficoltà nel vivere una vita “secondo Dio”. Queste difficoltà risiedono nella mancanza o nel difetto dell’intelligenza oppure nei sentimenti distorti. A volte quindi la strada della fede incontra difficoltà che provengono dalla ragione (obiezioni contro di essa che si combattono studiando ed approfondendo la Tradizione, il Magistero e la Scrittura), altre volte può imbattersi nel cosiddetto silenzio di Dio (non “sentire” Dio accanto, avere la sensazione che Dio non ascolti le proprie preghiere). In riferimento a quest’ultima evenienza, sperimentata anche da molti santi, la “via d’uscita” consiste nel saper comprendere come questi momenti, attraverso una intensificazione della preghiera, possano rinsaldare o far riscoprire la fede autentica che, in tal modo, diventerà più solida.

Ricorda a tal proposito il cardinal Carlo Maria Martini (1927-2012) come talune difficoltà della fede si possono incontrare quando attraverso una volontà sbagliata l’uomo sceglie di vivere contro i comandamenti di Dio. Per superare tali ostacoli, è necessario «un cammino di conversione che ci porti a pensare e ad agire secondo la verità e l’esistenza di Dio. E il credere ci sarà molto più facile» (Le virtù. Per dare il meglio di sé, In Dialogo, Milano 2010, p. 67).

Venendo ora alle caratteristiche dell’atto di fede, occorre partire dall’assunto per cui la fede è innanzitutto una grazia ed è necessario quindi rafforzarla nutrendosi di continuo della Parola di Dio, dei sacramenti, della preghiera individuale/comunitaria e della pratica delle buone opere. Come insegna la Lettera ai Galati, la fede è operosa «per mezzo della carità» (Gal 5,6). Senza le opere afferma chiaramente San Giacomo Apostolo essa «è morta» (Gc 2,26). La persona umana è unità sostanziale di anima e corpo, per cui i suoi atti devono avere sempre una dimensione operativa.

Oltre all’operatività, altra caratteristica essenziale delle fede, è la “libertà”: per essere umana la risposta della fede, infatti, deve essere liberamente data dall’uomo a Dio. La fede insomma deve essere volontaria altrimenti nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua stessa volontà. L’atto di fede è volontario per sua stessa natura. Ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica come l’atto di fede non sia «contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154).

Ovviamente una caratteristica essenziale della virtù della fede è la certezza della sua Verità. Essa è più certa di qualsiasi conoscenza umana perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può di certo mentire. La fede, così, ha un evidente riflesso nell’eternità e, anzi, si può dire che essa è già inizio sulla terra della vita eterna. La comunione con Dio fa pregustare all’uomo la gioia celeste e la luce della visione beatifica. Il fine del peregrinare dell’uomo sulla terra, in effetti, non è altro che tendere verso la visione finale di Dio “faccia a faccia” (1 Cor.13,12).

In conclusione, la fede è la virtù soprannaturale con la quale, prevenuti ed aiutati dalla grazia di Dio, noi crediamo vere le cose da Lui rivelate. Ma crediamo non a causa della loro verità intrinseca percepita con il lume naturale della ragione, bensì a motivo dell’autorità di Dio rivelante, il quale non può essere ingannato né ingannarci.

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