Maschile & femminile, ci sono il cromosoma X e quello Y: e basta!

L’IDENTITÀ SESSUALE DELL’ESSERE UMANO È SEGNATA SOSTANZIALMENTE AL MOMENTO DEL CONCEPIMENTO. L’INCONTRO DEL SEME MASCHILE CON L’OVULO FEMMINILE DECIDE IL SESSO DEL BAMBINO O DELLA BAMBINA: SE PORTA IL CROMOSOMA X, SARÀ FEMMINA, SE IL COMOSOMA Y, MASCHIO. LA NASCITA RIVELA QUESTO MISTERO E, CHI VORRÀ ESSERE UN PADRE, SI DOVRÀ NECESSARIAMENTE (E GENETICAMENTE) CHIAMARE “Y CHROMOSOME”

Di Giuseppe Brienza*

Il cromosoma Y è il cromosoma umano che determina il sesso maschile. L’altro cromosoma sessuale, quello femminile, è il cromosoma X. Siccome i genitori hanno una responsabilità primaria nell’educazione sessuale, è loro diritto-dovere assicurare che i figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa collegati. Questo insegna il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (cfr. n. 243), che riconosce ai genitori il loro intangibile diritto/dovere di verificare e scegliere le modalità con cui viene proposta l’educazione sessuale nelle istituzioni scolastiche, per poter controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo graduale e senza ridurre il tutto alla genitalità o all’anatomia.

L’educazione affettiva e sessuale, inoltre, dovrebbe abbracciare la totalità dell’essere umano, non solo gli aspetti fisici, ed essere calibrata allo specifico dell’identità maschile e femminile, realtà complementari ma differenti. Si tratta, insomma, di preparare gli uomini e le donne del domani a realizzare sé stessi e, se chiamati al matrimonio, a donarsi all’amore di comunione e fecondo.

Da alcuni decenni, questa prospettiva che ha permesso il progresso di tutte le civiltà, è stata per la prima volta nella storia disconosciuta, almeno da parte della classe dirigente dei Paesi occidentali. Alcuni centri di potere, per cercare di entrare il più possibile nella coscienza popolare, hanno anche coniato un linguaggio gender neutral, con lo scopo di alterare i dati di realtà relativi al maschile e al femminile. Non a caso, quindi, Benedetto XVI ci ha insegnato a chiamare la tendenza prevalente nell’epoca che stiamo vivendo “dittatura del relativismo”. Si tratta, infatti, con il potere dei media e delle tecniche psicologiche manipolanti e intimidatorie, di omologare comportamenti e tendenze antinaturali per renderli scontati e immediatamente identificabili.

Come rilevato dall’educatore e consulente familiare e di coppia Saverio Sgroi, però, il fatto di nascere e vivere come persone sessuate, maschi o femmine, non può essere negato, a costo di gravi conseguenze personali e sociali. «La sessualità – aggiunge il prof. Sgroi – ci identifica profondamente, prima ancora della nostra nascita. E non solo sul piano fisico, che sembra quello più evidente. La sessualità ci identifica sul piano biologico, a cominciare dal nostro sesso cromosomico, che dipende dalla presenza o meno del cromosoma Y nel patrimonio genetico dell’individuo. Siamo maschi o femmine dal giorno del nostro concepimento. Non solo, ma tutto lo sviluppo successivo dipende dal sesso cromosomico stabilito sin dall’inizio: la differenza genitale è solo l’ultima delle differenze che scaturiscono dalla specificità sessuale che risiede nel nostro DNA» (Saverio Sgroi, Affettivamente maschio e femmina. E basta, in Fogli. Itinerari mensili di costume, n. 386, ottobre 2012, p. 17).

La sessualità ci identifica infatti anche sul piano psichico, e guai non fosse così! Se si tentasse di appiattire, omologare e reprimere, finirebbe l’attrazione fra i sessi!

Tra uomo e donna, com’è esperienza comune e frutto di analisi psicologiche e psichiatriche, è diverso il modo di pensare, di relazionarsi con sé stessi e con gli altri, è diversa la sensibilità emotiva, e anche il modo di vivere la propria sessualità. La consapevolezza di queste differenze, però, come spiega Sgroi, «nell’uomo non è scontata. Non solo nell’infanzia, ma soprattutto nell’adolescenza, uno dei compiti più onerosi che vengono chiesti alla persona è quello di definire la propria identità; e nell’àmbito di questo compito, un posto particolare merita la definizione della propria identità sessuale. Un adolescente non si chiede soltanto chi è e chi è chiamato a diventare, ma anche quale significato assume per lui la sessualità; si interroga sul suo orientamento sessuale, e lo fa a partire dal suo essere maschio o femmina dal punto di vista biologico; e non è raro che, in questo momento della sua crescita, possa sentire in sé anche delle tendenze omosessuali» (S. Sgroi, art. cit.). Capite perché uno dei principali obiettivi delle associazioni e lobby LGBT è quello di entrare nelle scuole con l’educazione (o indottrinamento) gender? Del resto, anche un’autorità giudiziaria “laica” come l’Alta Corte britannica ha riconosciuto che essere «altamente improbabile» che un adolescente – specie al di sotto dei 16 anni – possa comprendere in maniera «appropriata» gli effetti a medio e lungo termine del cambio di genere e gestire gli input provenienti da agenzie pro-LGBT in questo senso. Non solo, ma anche dal punto di vista legale, qualora dopo un indottrinamento gender lo stesso adolescente chieda il cambiamento (la neolingua dice transizione) di sesso, al personale medico chiamato ad operarlo, lo stesso giovane non sarebbe in grado, sempre secondo l’Alta Corte, di fornire un adeguato «consenso informato» (cit. in Angela Napoletano, La sentenza. Svolta a Londra, stop dei giudici al cambio di genere per i minori, Avvenire, 2 dicembre 2020).

A partire da questa storica sentenza, poco divulgata in Italia, nelle istituzioni scolastiche britanniche sono stati di fatto bloccati i progetti di sensibilizzazione o “educazione” gender. Tra il 2019 e il 2020, del resto, i casi di disforia di genere (cioè rifiuto del proprio sesso biologico) trattati in uno solo dei tanti centri specializzati della Gran Bretagna, l’ospedale di South Hampstead (Londra), sono stati ben 161, tra cui anche tre bambini di appena 10 e 11 anni. La fondazione pubblica, finanziatrice della clinica, si è sempre difesa dicendo che «raramente» gli inibitori della pubertà, come la triptorelina, vengono somministrati a minori di 13 anni ma, è un fatto, che l’aumento esponenziale di tali casi e le conseguenze che si iniziano a valutare hanno fatto tirare il freno a mano anche ad una nazione avanti nel perseguimento dell’agenda LGBT come la Gran Bretagna.

L’avvocato che ha rappresentato in aula la mamma della ragazzina violata dalla quale è scaturita la sentenza sopra citata dell’Alta Corte britannica, Paul Conrathe, ha dichiarato che il pronunciamento finalmente smaschera quella «cultura dell’irrealtà» alla base dei trattamenti di “transizione di genere”. I bambini che hanno ricevuto i trattamenti senza il loro consenso adeguatamente informato, ha aggiunto il legale, «sono centinaia». Cambiare sesso, insomma, non ha niente a che vedere con il «diritto a governare in autonomia il proprio corpo».

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* Vedi qui il canale YouTube curato dall’autore di questo articolo: Temi di Dottrina sociale della Chiesa.

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