Caro prof. Cacciari le cose sull’obbligo vaccinale stanno così…

UNA BREVE RISPOSTA AGLI INTERROGATIVI SOLLEVATI DALL’EX SINDACO DI VENEZIA

Di Vincenzo Baldini*

Dalle pagine di un noto quotidiano (la Stampa del 28.7.2021) il Prof. Massimo Cacciari ha rivolto a tutti i “cultori del diritto” le seguenti domande: “E’ legittima l’imposizione, poiché di imposizione si tratta, di un trattamento sanitario, e nella specie di un trattamento sanitario che presenta le zone d’ombra, i dubbi i problemi che ho succintamente ricordato? Esistono molte altre malattie infettive -si prevede il green pass anche per morbillo, scarlattina, tosse cattiva? E, conseguentemente, la norma che impedisce di salire su un treno varrà da qui all’eternità? Dichiareremo fuori legge l’aver febbre, non importa se per aver contratto la peste o per indigestione? Metteremo nella carta d’identità le nostre condizioni di salute?”. Il Professore, poi, così conclude: “Quando subiremo qualsiasi provvedimento o norma senza chiederne la ragione e senza considerarne le possibili conseguenze, la democrazia si ridurrà alla più vuota delle forme, a un fantasma ideale”.

Agli interrogativi sollevati provo a fornire una risposta da cultore del diritto esulando, come vorrei fare, da ogni giudizio prognostico sulle conseguenze del rifiuto del vaccino da parte del singolo e di ripetere argomentazioni già altrove espresse per cercare di dimostrare l’incongruenza, sul piano giuridico-costituzionale, di alcuni, discutibili asserti provenienti dalla comunicazione pubblica.

Appare a chi scrive del tutto condivisibile l’affermazione del Prof. Cacciari circa la reale esistenza di un obbligo vaccinale, pure in carenza formale della legge del Parlamento che ai sensi dell’art. 32 c. 2 Cost., può sancire l’obbligatorietà del vaccino. La previsione di molteplici limiti all’esercizio della condotta di chi non è munito di green pass,  anche non inerenti unicamente a cd. diritti secondari (Ainis), non sembra integrare i termini unicamente di una campagna di induzione al vaccino ma finisce per realizzare di fatto una vera e propria coercizione al trattamento sanitario, in totale disarmonia con la libertà costituzionale di autodeterminazione in materia sanitaria, ex art. 32 c. 1 Cost.

All’obiezione di chi ritiene che, nella specie, l’interesse alla tutela della salute come Bene pubblico risulti senz’altro prevalente può facilmente replicarsi che tale giudizio di prevalenza spetta esclusivamente alla Politica (id est, al legislatore ordinario) di formulare e, finora, fatte salve alcune eccezioni (obbligo vaccinale per il personale sanitario), la suddetta libertà individuale resta pienamente integra ed efficace.

Ritenere il contrario, sulla premessa che la certificazione verde è acquisibile anche con un tampone che dia esito negativo, vorrebbe dire ignorare volutamente l’onere economico sul bilancio familiare di questo esame clinico, la cui breve durata lo rende in buona sostanza improponibile come alternativa ragionevole al certificato vaccinale.  Peraltro, se dell’esigenza di vaccinarsi come fondamentale per l’uscita dallo stato di emergenza (semmai se ne esca…), necessario per scongiurare gli effetti più gravi del contagio, indispensabile per salvare vite umane evitando affollamenti nei reparti delle strutture sanitarie, si è letto e si legge tutti i momenti, nelle dichiarazioni degli eminenti scienziati della medicina diventa logico chiedersi che cosa spinga le Assemblee parlamentari a non approvare la legge sull’obbligo del trattamento vaccinale, come la Costituzione consente loro di fare.

Il secondo punto toccato da Cacciari è la crisi della rappresentanza politica.

Anche qui, i dati ufficiali (tra i quali è la progressiva scarsa affluenza di votanti alle varie competizioni elettorali) dimostrano l’estrema fondatezza delle considerazioni formulate  dal Professore, che in tal modo rileva l’esistenza di un solco esistente tra ceto politico-rappresentativo e comunità sociale.  Si parla di crisi dei partiti e di tentativi di sostituire alla decisione di maggioranza dell’Assemblea rappresentativa l’espressione diretta del popolo o di tensioni tra processi della democrazia rappresentativa e un centralismo governativo connotato da una più ampia concertazione (Issacharoff); si parla di debolezza della decisione legislativa accompagnata da un reale slittamento verso il livello (formalmente) amministrativo del potere reale di decisione politica; si parla, ancora, da una democrazia deliberativa fondata sulla razionalità degli apporti nel flusso pluralistico della comunicazione pubblica ad una società del sapere, in cui -come si afferma- “le strutture e i processi di riproduzione simbolica e materiale di una società sono così fortemente penetrati da operazioni dipendenti dalla conoscenza che l’elaborazione dell’informazione, l’analisi simbolica e i sistemi di esperti hanno la prevalenza sugli altri fattori della riproduzione” (H. Wilke).

Un altro pericolo segnalato dal Prof. Cacciari è l’allineamento delle forme di controllo e sorveglianza immanenti alle tecnologie da noi utilizzate anche nel quotidiano che “si stanno sempre più accordando ai regimi politici”. La democrazia -dice Cacciari- è forma fragile e delicata di organizzazione dei poteri, che si basa sull’uguaglianza dei cittadini e si nutre di trasparenza e informazione. Ogni discriminazione non giustificata tra questi ultimi ne costituisce attentato e minaccia.

In proposito, sovviene un aspetto critico dell’attivismo giurisprudenziale, soprattutto del giudice costituzionale, quello fondato cioè sul largo impiego dei cd. criteri di razionalità della legge, vale a dire essenzialità, necessarietà, adeguatezza. Probabilmente, in un contesto costituzionale dal pluralismo di diritti e principi fondamentali, nel quale per definizione è e dev’essere carente ogni strutturale declinazione in senso gerarchico, l’impiego di tali criteri per la determinazione di un ragionevole bilanciamento tra gli stessi si configura come necessario. Ma in questa esperienza di regolazione emergenziale il giudizio sul bilanciamento in parola tra interessi costituzionali concorrenti si mostra fortemente problematico. L’apodittica prevalenza accordata in modo assoluto al diritto alla vita e alla salute su altri diritti/principi concorrenti se mostra un fondamento logico-naturalistico non appare altrettanto fondata sul piano costituzionale e ciò non perché debba accordarsi, rispetto a tale diritto, prevalenza ad altro interesse o diritto fondamentale. Si tratta nella specie di un problema di metodo esegetico nel quale ad essere oscurato del tutto sono, in particolare, i parametri della essenzialità e della necessarietà. 

Nella congerie del dibattito scientifico sui vaccini, qualcuno ha anche sostenuto che la Costituzione si limita a richiedere di osservare, al riguardo, i principi di precauzione, necessità, proporzionalità. 

Premesso che non sembra che la precauzione possa tout court elevarsi a criterio/metodo esegetico di rango costituzionale andrebbe anche considerato che la proporzionalità quale criterio -almeno, non la proporzionalità in senso stretto- opera piuttosto come un empty box in cui convergono i più specifici criteri della necessarietà, dell’essenzialità e dell’adeguatezza, muovendosi dal criterio base comune dell’ottimizzazione dei diritti e libertà fondamentali.

Tutto ciò vuol dire, in sintesi, che occorre garantire quanto più possibile l’esercizio di tali diritti e, conseguentemente, limitare allo stretto essenziale e necessario tale contrazione.  Non mi sembra pertanto che si possa con tono assoluto rinvenire la proporzionalità di tutte le misure emergenziali adottate finora, in particolare l’ampia serie di impedimenti previsti alla libertà individuale di chi, nell’esercizio del proprio diritto costituzionalmente riconosciuto, sceglie di non vaccinarsi. 

Di converso, a ritenere che le tante misure discriminatorie siano legittime in quanto proporzionali rispetto alla situazione ed adeguate rispetto al fine che perseguono (sic!) si ripropone l’amletico dilemma circa le ragioni della mancata adozione della legge sull’obbligatorietà del trattamento vaccinale.

In conclusione, non intendo formulare -come ho detto avanti- giudizi prognostici, dunque, non riesco a rispondere ai quesiti ultimi del Prof. Cacciari circa la possibilità che un giorno potrà aversi bisogno del green pass per altre malattie infettive o che una semplice febbre potrà impedirci di salire su un mezzo pubblico o, in fine, che i dati relativi alla nostra salute verranno inseriti nella carta d’identità. L’incapacità di una risposta deriva, oltre che, naturalmente dalla limitatezza della capacità di analisi scientifica di chi scrive, anche dalla incertezza oggettiva che l’impiego (soggettivo) dei paradigmi della razionalità è in grado di indurre. Così, se un giorno si riterrà che le ragioni della sicurezza e della salute prevalgono sulla libertà di circolazione o sull’istanza di riservatezza dei dati sensibili, allora potrà aprirsi la strada anche alle degenerazioni di cui provocatoriamente parla il Prof. Cacciari.

In ogni caso, avverto il Prof. Cacciari che le mie risposte non sono di certo benedette dal crisma dell’oggettività visto che -come il Professore molto bene ha percepito- di versioni contrastanti rispetto a quella qui proposta ne circolano tante… Il diritto costituzionale non è certo una scienza esatta, nemmeno nella giurisprudenza: come ancora sottolinea E.-W. Böckenförde– ciò che conta, nella specie, è l’argomento (“Es zählt das Argument”).                                

 

* Ordinario di diritto costituzionale
Dipartimento di Economia e Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale

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