La scuola ha bisogno di recuperare il proprio ruolo di accompagnamento alla crescita di uomini e donne di un Paese futuro

RIFLESSIONI SULLE PROVE “SCOLASTICAMENTE CORRETTE” DELL’ISTITUTO NAZIONALE PER LA VALUTAZIONE DEL SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E DI FORMAZIONE (INVALSI). MA FORSE IL RECUPERO DI QUALCHE VECCHIO BUON “SUSSIDIARIO” NON POTRÀ CHE FARE BENE ALLA SCUOLA DI OGGI…

Di Gabriella Dallera

Negli scorsi giorni i risultati dei test che annualmente misurano le competenze degli studenti, elaborati dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), hanno rilevato, dopo due anni di Didattica a Distanza (Dad) e altre carenze e ritardi, risultati ancora più preoccupanti del solito. La metà degli studenti che si sono maturati, infatti, avrebbe competenze da terza media.

Qui merita fare qualche valutazione non da esperta ma da ex alunna e madre di famiglia. A casa dei miei genitori, tra i libri presenti nella piccola raccolta di volumi, mi è capitato di imbattermi in un vecchio sussidiario per scolari di seconda elementare.
Sfogliandolo, ho potuto constatare come negli anni trascorsi dalla mia seconda elementare (che si può collocare all’epoca della stampa del libro, intorno ai primi anni ’80) e quella delle mie figlie, che oggi hanno circa vent’anni, ci sia stato un abbassamento del livello di sforzo intellettuale, ma anche educativo, proposto dai libri di testo e dalla scuola in generale.

Aggiungo che un paio di generazioni di studenti precedenti alla mia, sono uscite da un’esperienza di scuola che voleva essere e veniva vissuta come un’occasione di riscatto sociale: mia nonna aveva la quinta elementare, agli inizi del secolo scorso, e mi raccontava che se avesse potuto frequentare anche il sesto anno, avrebbe potuto lavorare come impiegata.

I miei genitori, con la sola licenza elementare, in classi di 40 alunni con maestro unico, avevano tra le mani gli strumenti culturali ed educativi sufficienti ad affrontare la vita.

Torno al piccolo volume ritrovato sugli scaffali della libreria dei miei genitori che riporta come in una seconda elementare degli anni ’80 già venivano proposte le divisioni ad una cifra, cosa che oggi si fa fatica a pensare di proporre ad un bambino di sette anni e penso alla scuola del 2021, fatta di tanta tecnologia facilitante – la Dad ne è un simbolo – ma che al riscontro delle prove Invalsi, porta in superficie tutta la problematica di una scuola impoverita, divenuta azienda alla quale fare tornare i conti (anche quelli della media dei voti). A fronte di una burocrazia asfissiante, la scuola ha bisogno di recuperare il proprio ruolo di accompagnamento alla crescita di uomini e donne di un Paese futuro.
Il problema della valutazione è sempre più questione di relazioni umane dove gioca un ruolo fondamentale il fatto che il progresso di ciascuno studente venga posto come vero obiettivo di tutta la comunità educante, senza dimenticare il forte contributo della famiglia che, paradossalmente, era più incisivo quando i genitori erano per la maggior parte analfabeti.

Oggi paghiamo un analfabetismo educativo, che si porta dietro, volenti o nolenti, anche il successo o meglio, il traguardo intellettuale di ognuno. In una società complessa (o complicata?) come quella dei nostri giorni non ci si può più permettere di trascurare l’umano, anche perché qualche scienziato già prevede che la scuola del futuro dovrà necessariamente formare uomini che sappiano rimanere al passo di una tecnologia che potrà sostituirsi o integrarsi alle persone, invertendo la logica che fa sì che essa stessa debba essere utilizzata a servizio dell’uomo.

Forse, il recupero di qualche vecchio “sussidiario” potrà fare bene anche alla scuola di oggi.

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