Green Pass, un costituzionalista: “il neo centralismo governativo giustificato in nome del Covid”

A QUANTO AMMONTERÀ LA SPESA DI UNA FAMIGLIA MEDIA PER UNO O PIÙ FIGLI NON VACCINATI?

Di Vincenzo Baldini

Le nuove misure anti-Covid del governo, tra l’altro, estendono l’obbligo delle certificazioni verdi agli studenti universitari e anche ai viaggiatori di treni a lunga percorrenza.

Si dirà: ma uno studente universitario non vaccinato che vuole o deve frequentare (in alcuni casi, la frequenza è obbligatoria) istituti o corsi, come dovrà fare? La risposta è: è obbligato a fare semplicemente un tampone e, in caso di esito negativo, sarà abilitato a partecipare in presenza alle lezioni. Gli unici, “piccoli” problemi sono che l’esito (negativo) di un tampone dura al massimo 48 ore e, che il tampone ha un prezzo, seppure calmierato entro la somma di 15 euro (o, forse, poco di più).  Ora, si ipotizzino (almeno) quattro giorni di lezioni o di “cliniche” (per gli studenti iscritti alle facoltà di Medicina) a settimana, moltiplicati per almeno sei mesi (ma potrebbero essere anche otto o nove), oltre a partecipazione alle sedute di esame (almeno, alle proprie): a quanto ammonterebbe la spesa di un solo figlio non vaccinato per una famiglia media? E se i figli-studenti universitari fossero due o anche tre? Si realizzerebbe, così, di fatto un vero obbligo (o, direi necessità) di ricorrere al male economico minore, vaccinandosi.

Ciò significa garantire a tutti in modo indiscriminato il diritto allo studio e all’accesso ai “gradi più alti degli studi” (art. 34 u.c. Cost.)? O non si rischia piuttosto di assicurare tale diritto, invece che ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” (art. 34 c. 1 Cost.), ai soli “meritevoli perché vaccinati” contro gli “immeritevoli in quanto non vaccinati”? Tanto, risponde e corrisponde a criteri di essenzialità/necessarietà, adeguatezza e proporzionalità?

Per chiarire: l’adeguatezza si commisura in un rapporto di congruità funzionale tra le misure intraprese e il fine perseguito. Ora, senza dubbio il vaccino presenta benefici in quanto – affermano gli scienziati del Cts – è in grado di ridurre gli effetti patologici più gravi del virus: tuttavia esso non esclude che anche vaccinati possono essere contagiati e trasmettere, di conseguenza, il contagio ad altre persone. Questa certezza scientifica allora non sembra possa essere ignorata dalla Politica nel momento in cui decide di varare ulteriori misure che restringono ancora l’esercizio delle libertà da parte dei non-vaccinati e allargano la forbice della discriminazione rispetto a chi è vaccinato.

Con riguardo all’essenzialità/necessarietà, invece, essa si intende come inefficacia del ricorso a ogni altra misura più mite per raggiungere l’effetto desiderato della prevenzione sanitaria. In proposito, tuttavia, occorre chiedersi se tale effetto non sia altrettanto raggiungibile procedendosi con tamponi rapidi e gratuiti all’ingresso dell’aula di lezione o di esami, ammettendo in essa esclusivamente studenti che risultassero negativi al contagio.

La proporzionalità, in fine, ha riguardo alla relazione tra livello della compressione dei diritti fondamentali ed effettività del loro nucleo essenziale, con la corrispondente esigenza di contenere la compressione di questi ultimi entro ambiti strettamente funzionali alla realizzazione dell’obiettivo.

Non si tratta, allora, di mostrarsi favorevoli o contrari alla vaccinazione, disputa che verosimilmente non appassiona nessuno. Si tratta invece di ribadire la portata normativa della Costituzione che è cosa ben diversa dal suo adattamento esegetico, da parte della Politica come anche della giurisprudenza, costituzionale e di merito …. 

La deriva autoritaria che, consapevolmente o meno, si va delineando non sta soltanto dunque nella consistenza propria delle misure intraprese ma anche in ciò che viene inteso come rispetto formale e sostanziale della Costituzione attraverso, rispettivamente,  il richiamo alla necessità come fonte del diritto, il neo centralismo governativo giustificato in nome dell’emergenza sanitaria, che ha consentito all’Esecutivo di insediarsi in una posizione di primazia nell’assetto organizzativo fondamentale dello Stato, aggirando la disciplina costituzionale. Sta, ancora, nella conseguente sistematica elusione della garanzia della riserva di legge per la limitazione dei diritti fondamentali, soppiantata dall’altrettanto sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza come se potessero intendersi equivalenti una delibera di Consiglio dei Ministri e una legge del Parlamento. Tutto ciò può intendersi come sintomo preoccupante di un’involuzione anche culturale, che sostituisce alla Costituzione come Legge fondamentale e atto normativo principale la Costituzione come argomento, i cui contenuti finiscono per modellarsi secondo le inclinazioni logiche (o illogiche) dell’interprete, con il solo vincolo della coerenza nell’argomentazione impiegata. In questa pericolosa deriva securitaria ed efficientista trasfigura anche l’ethos della legge inteso come affidamento alla razionalità formale dell’atto, fondata sul confronto e sul dibattito dei rappresentanti all’interno delle Camere parlamentari. 

Così, alla inflessione teoretica quale presupposto ritenuto necessario per ogni interpretazione della Carta fondamentale si sostituiscono, ora, i paradigmi naturalistici dei valori, della logica e della razionalità individuale attraverso i quali si approda a soluzioni costituzionalmente adeguate delle scelte della politica o delle sentenze di un giudice, di legittimità e/o di merito. Attraverso l’argomentare costituzionale si incrociano diritti e principi fondamentali, si compensano istanze individualistiche di libertà e istanze di interesse pubblico secondo oscillazioni e bilanciamenti diversi, sovente influenzati dalla fattispecie concreta che viene in rilievo, si elaborano declinazioni storiche e/o sistematico-evolutive delle singole previsioni della Legge fondamentale, adattandola così artificialmente a bisogni e aspettative politiche dell’attualità.

E’ con l’argomentazione, spesso assertiva e apodittica, che si arriva, in fine, a intendere la certificazione verde come fattore di libertà e non di costrizione, ignorandosi come sia in molti casi di fatto inibito l’esercizio delle libertà (da quella di riunione a quella di circolazione, per dirne alcune) a chi manchi di tale certificazione o risulti vulnerato il diritto allo studio di chi, non senza difficoltà e sacrifici anche economici personali, voglia seguire un corso di studi universitario. 

Il transito verso una Costituzione dell’argomento razionale non sembra iscriversi a sintomo di progresso della civiltà giuridica democratica e nemmeno segnare una crescita nella capacità d’integrazione sociale, da molti studiosi riconosciuta alla stessa Carta fondamentale. Il ricorso all’argomento contraddice la certezza del diritto positivo (di qualunque livello si tratti) e favorisce un pluralismo di possibili declinazioni della Legge fondamentale che ne indebolisce, in ultima analisi, il carattere normativo. Ciò rivela, anzi, un’inarrestabile forza della Politica di riuscire a flettere attraverso l’argomento il diritto costituzionale inibendone così la portata di garanzia contro i debordamenti del potere pubblico, un esito, quest’ultimo, che appare tanto più deprecabile laddove, come nel nostro caso, società politica e società civile non appaiono più reciprocamente complementari.  Questo scollamento tra una Politica dell’efficienza e della decisione, di cui massimo rappresentante è un Esecutivo di natura tuttavia non elettiva; e Politica della partecipazione, tradotta nella primarietà di ruolo delle Assemblee parlamentari si rende oggi sempre più evidente.  

A una Costituzione emancipata dalla norma di diritto positivo e riportata al piano naturalistico dell’argomentazione logico-razionale non ci si deve né si può rassegnare.       

*Ordinario di diritto costituzionale all’ Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale

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