La devozione verso la beata Elisabetta Sanna e quell’ingresso sbarrato…

LA BEATA ELISABETTA SANNA  (1788-1857), UNA INNAMORATA DEL SIGNORE CHE CI HA INSEGNATO COME SI FA LA COMUNIONE SPIRITUALE QUANDO È IMPOSSIBILE RICEVERLA DI PERSONA…

Di Benedetta De Vito

Nel paesino di Budoni, in Sardegna, la Messa domenicale ha ancora il buon sapore di pane di una volta. Se non fosse per le mascherine e per la Santa Particola distribuita sulle mani, mi sembrerebbe, strizzando e palpebre, tra le note dell’Ave Maria in sardo, di essere ancora nella Chiesa di San Teodoro, dove andavo bambina, e che a dir Messa fosse il mai dimenticato e mitico don Pala…

Una bella domenica, uscita dunque dalla funzione nella Parrocchia dedicata a San Giovanni Battista, mi sono perduta tra le tante bancarelle del mercatino paesano. D’un tratto, rapisce il mio sguardo la malia di una bambola in costume tradizionale. Corro, come orso al miele, al banco e subito l’occhio mi cade su un librino ingiallito con su l’immagine di una pia donna velata. E leggo: “La venerabile Elisabetta Sanna”. Mmm, penso, e tirati fuori i tre euro richiesti metto nella borsetta non la pupa sarda ma il libretto dedicato a una innamorata del Signore (come sono io) che è entrata così nella mia vita, insegnandomi meglio, con dono grande, come si fa la Comunione spirituale quando è impossibile riceverla sulla lingua…

Tornata a casa, dimentica della spiaggia, ho letto di fila le poche pagine dedicate alla Venerabile (che dopo l’uscita del libro, il 17 settembre del 2016, è stata proclamata Beata) e che qui riassumo per accendere una fiaccola alla memoria di una piccola-grande donna che, vissuta tra Codrongianos e Roma, amò il Signore e visse di Provvidenza e di Obbedienza.

Elisabetta Sanna nacque, infatti, a Codrongianuse, un bel paesino sardo immerso nella fertile campagna del Logudoro, in provincia di Sassari. Paesino ricco di tradizioni, famosi gli gnocchetti tirati a mano, e per essere vicino alla stupenda Basilica della Santa Trinità di Saccargia, costruita secondo la tradizione per santa devozione lì dove una mucca, al ritorno dal pascolo, si ostinava a restar inginocchiata. Ora, nel silenzio della pianura, la spettacolare basilica, in stile romanico-pisano, bianca e nera, pezzata come la vacca in preghiera, riempie di sé la campagna, mentre il suo campanile svetta nel cielo, accarezzando le nuvole di passaggio.

Elisabetta Sanna nacque tra le vie fitte della parte alta del paese, nel rione chiamato Carruzu ‘e josso. La casa della beata è al numero 10 della strada a lei intitolata. Lascio la parola al sito comunale: “Donata dalla famiglia Spanu/Corda alla parrocchia di Codrongianos, è stata sapientemente restaurata dall’amministrazione comunale. Consta di due vani: uno al piano terra -coperto da un tetto rifatto secondo la vecchia tecnica dell’incannicciato -nel quale hanno trovato collocazione un grande quadro, una raccolta di indumenti ed altri oggetti appartenuti alla “Serva di Dio”, ed un altro, sotterraneo e spoglio, accessibile attraversando una botola che chiude una scala in pietra, nel quale è stato recentemente posizionato un piccolo altare“. Un giorno, penso ci andrò…

Piccolissima, di pochi mesi, Elisabetta, fu colpita dal vaiolo che le rese inservibili le braccia. Tutto accettò, crescendo, senza mai lamentarsi e maturò, guidata da una brava catechista, nell’amore per il Signore e fu chiamata a grandi servigi. Ubbidì, però, a sua madre che la volle sposa e, dal marito Antonio, ebbe cinque figlioli. Vedova nel 1825 crebbe i figli che andavano dal 17 ai 3 anni per lasciarli poi, chiamata dal Signore a seguirlo, a custodia del fratello sacerdote quando nel 1931, decise, già terziaria francescana, di partire per la Terrasanta. Priva di un documento, rimase a Roma, dove arrivò il 28 luglio del 1831. Il Signore cuce le trame delle nostre vite e a volte sembrano a noi storte ma invece sono drittissime. A Roma la vita di Elisabetta doveva intrecciarsi con quella di un grande Santo, cioè Vincenzo Pallotti, incontrato per caso (cioè per il caso voluto dalla Provvidenza) sulla scalinata di Sant’Agostino la stupenda chiesa che custodisce la Madonna dei pellegrini di Caravaggio…

Pellegrina, Elisabetta, nel fuoco d’amore che la consumava, rinvigorendola, trovò casa, una stanzetta senza pretese, in via della Sagrestia, a un tiro di sasso dal cimitero Teutonico (dove la nostra Beata usava fare la Via Crucis) e da San Pietro (dove seguiva anche quattro, cinque messe di seguito e pregava davanti al Santissimo).

Visse, cucendo e di Provvidenza e riusciva a mandare soldi ai suoi in Sardegna, dove non tornò mai più. Se un senso di colpa la prendeva per aver abbandonato i suoi bambini, San Vincenzo Pallotti la rassicurava e la famiglia sua, a Codrongianus, divenne l’invidia dell’intero circondario e i figlioli diritti, senza crucci. Nel gennaio del 1857, Elisabetta ebbe in visione San Gaetano di Thiene (uno dei suoi patroni) e lo stesso San Vincenzo Pallotti: stavano venendo a prenderla. Morì il 17 febbraio, prontissima a volar con l’anima nelle dolci mani del Signore. Morì e in tutta Roma si sparse la notizia della sua dipartita. E corsero da ogni dove per salutarla. Fu sepolta nella chiesa pallottina di San Salvatore in onda, chiesa dove riposa anche San Vincenzo Pallotti.

Nella stupenda chiesiola d’oro splende l’immagine della Virgo Potens della Beata Elisabetta Sanna, immagine miracolosa. Proprio ieri, nel caldo torrido romano, mi sono recata al numero 56-58 di via dei Pettinari per visitar la bella chiesa. In via dei Pettinari, da ragazza, comperavo le belle scarpe di una bottega artigiana che mi pare scomparsa. Scendendo verso il fiume, verso Ponte Sisto, ecco la chiesina, giallo canarino, povera nella facciata e, al contrario di quanto letto su internet, chiusa.

Mi scappa un sorriso nel veder quanto realistiche erano i toponimi antichi e perché questa chiesa si chiama in onda. Semplice: perché l’acqua del Tevere, agevolata da una discesina che corre giù dalla Via Giulia, doveva ben portar le onde bionde tiberine fin sull’altare…

L’ingresso è sbarrato. Provo a suonare al convento, magari avran pena di me che in piena estate mi sono spinta fin qui, condotta dalla devozione verso Elisabetta. Mi risponde una signora cortese, aprendo la finestra, ma non c’è modo di entrare. Neanche un santino ha per me e, mentre torno sui miei passi verso casa, Elisabetta mi pare di sentirla vicina e mi consola perché la sua Virgo Potens ci consolerà, salvandoci…

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