La paura dei medievali per l’anno Mille? Un’altra leggenda nera…

PAURE DEI MEDIEVALI? NON COME QUELLE, VERE, CHE HANNO COLPITO GLI ALLOCCHI DEL XX SECOLO PER IL “MILLENNIUM BUG”…

A cura di Pietro Licciardi

A proposito di Medioevo e di falsificazioni su questo periodo d’oro della cristianità una storiella che è circolata per molto tempo, spacciata come prova dell’oscurantismo generato dalla Chiesa cattolica in quel periodo è la paura della fine di tutto prodotta dalla venuta dell’Anticristo nell’anno Mille.

Come infatti si legge nell’Apocalisse: «Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè Satana – e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo» (Ap 20, 1-3).

E in effetti i primissimi cristiani, testimoni diretti della predicazione di Gesù, erano pervasi da un certo senso di fine imminente ma i padri della Chiesa, dispensatori di buona dottrina, misero preso le cose in chiaro ricordando che Cristo stesso ha definito vano il voler interrogare le stelle circa l’ora e il giorno della fine, oltre al fatto che è peccato l’insistervi. E con questo misero fine alle illazioni e alle facili suggestioni.

La paure della fine del mondo che attanagliò la cristianità nell’anno Mille in realtà è solo una falsa leggenda costruita assai più tardi, cioè nei rinascimentali Annali detti di Hirsau (1511-1513), e questo precipuamente per gettare disprezzo sull’Alto Medioevo, venendo in seguito rilanciata in grande stile dal Romanticismo ottocentesco. Lo illustra con rigore uno specialista del calibro dello storico francese Georges Duby in un paio di libri: L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva (trad. it. Einaudi, Torino 2001) e Mille e non più Mille. Viaggio tra le paure di fine millennio (con Chiara Frugoni, trad. it., Rizzoli, Milano 1999). Un solo scritto medioevale parla di eventi strabilianti e inquietanti avvenuti nel Mille, il Chronicon (o Chronographia) del monaco benedettino Sigebert di Gembloux, che descrive il periodo tra il 381 e il 1111; ma è un testo del dodicesimo secolo, parecchio successivo al Mille e Sigebert al massimo riferisce o copia notizie di altri e comunque niente dice sui presunti terrori che si sarebbero diffusi nella popolazione cristiana all’avvicinarsi della fatidica data. Per trovarne le prime tracce occorre appunto attendere il secolo XVI.

Nel Settecento anche alcuni ecclesiastici, soprattutto benedettini, hanno accreditato la leggenda dei terrori dell’anno Mille, ma perché animati dall’intento di purificare la devozione religiosa da ogni elemento superstizioso, che essi volevano condannare alla stregua di tutte le altre manifestazioni del passato. Poi queste presunte paure e superstizioni collettive furono riprese prima e durante la Rivoluzione Francese da philosophes e pamphletisti anticlericali, che accusavano la Chiesa non solo di aver diffuso credenze irrazionali tra il popolo, ma di averle sfruttate ingannevolmente per incitare nobili, borghesi e contadini a donare i loro beni, in vista della fine, ai conventi e alla Chiesa. Una calunnia sulla cui base in Francia, nel 1791, si giustificò la confisca dei beni del clero, che fu presentata come una doverosa restituzione al popolo di ricchezze sottratte con sotterfugi nei “secoli bui”.

Peccato che dalle fonti storiche non risulta alcun indizio del fatto che l’umanità, al volgere del X secolo, fosse triste e inerte nell’attesa della fine. Al contrario, tutti i documenti ci presentano un’umanità che vive come sempre, lavorando e progettando per il futuro, come se avesse davanti a sé tutto l’avvenire. Le centocinquanta bolle papali pubblicate dal 970 al 1000 non fanno menzione della fine del mondo e neppure i venti concili svoltisi dal 990 al 1000 non accennano a questa drammatica scadenza. Al contrario legiferano per gli anni successivi al Mille, a dimostrazione che i vescovi non credevano all’imminente catastrofe.

Come saggiamente nota più volte il già citato storico francese Georges Duby certamente i cristiani medievali, anche all’approssimarsi del Mille, attendevano, come da Vangelo, la fine del mondo e la risurrezione dei morti, ma la cosa ha semmai prodotto più slancio religioso, più voglia di ravvedimento, grande impegno missionario, e tutto quel fiorire di opere caritative e di conversioni che hanno fatto grande l’età della fede. È proprio infatti a partire dall’anno Mille che gli storici parlano di “Rinascimento medioevale” nelle arti, nelle industrie, nell’architettura, persino nella teologia e nella filosofia, insomma nella civiltà tutta. Nei cristiani, cioè, la “vicinanza” del regno celeste genera gioia, mai laicista sconforto.

La prossima volta dunque che sentiamo nuovamente circolare sciocchezze sulle superstizione paure dei medievali di fine millennio pensiamo piuttosto a ciò che abbiamo vissuto, noi colti, laici e illuminati uomini moderni, che tra il 1999 e il 2000, abbiamo creduto come allocchi al “millennium bug”, ovvero la paralisi di tutti i computer del pianeta che ci avrebbe gettati in un drammatico caos.

Salvo scoprire, appena dopo la mezzanotte dell’ultimo giorno del secolo XX che in realtà la paura dell’anno Duemila non era che una furba trovata di programmatori e aziende informatiche per riempirsi le tasche.

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