Solo il 20% degli italiani afferma di credere nella resurrezione della carne

È MOLTO DIFFUSA, PURTROPPO, LA TENDENZA A CREDERE NELLA REINCARNAZIONE…

Di Giuliva Di Berardino

Il “Credo”, denominato anche Simbolo di fede, è la professione di fede che la comunità cristiana riunita durante la Messa, pronuncia ogni domenica, all’unisono.

Nel Cattolicesimo vengono riconosciuti due simboli di fede, entrambi consentiti. Esamineremo due espressioni: “credo nella risurrezione della carne”, che troviamo nel Simbolo apostolico e che tratteremo questa settimana (oggi e nei prossimi 2 giorni) e l’espressione “aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, contenuta nel Simbolo niceno-costantinopolitano e che tratteremo la prossima settimana (in due articoli).

Si tratta di espressioni molto simili, poste entrambe a conclusione della professione di fede, a dire che la vita di ogni fedele, di ogni credente ha il suo compimento non in una fine definitiva, ma in un nuovo inizio, nell’eternità. La prima osservazione da fare sulla fede nella risurrezione della carne, è che al giorno d’oggi, in Italia, secondo le statistiche, anche se ogni domenica professiamo il nostro “credo la risurrezione della carne e la vita eterna”, è solo il 20% degli italiani ad affermare di credere nella resurrezione della carne.

È invece molto più diffusa, e lo riscontriamo spesso, la tendenza a credere nella reincarnazione, con la dichiarazione di essere buddhisti. Non ci si rende conto, però, che la reincarnazione considerata in modo positivo non proviene né dal Buddhismo, né dall’Induismo o da altre forme religiose orientali, perché in queste religioni la reincarnazione non è mai sentita come una salvezza, ma come una condanna, perché la salvezza, anche in queste religioni, si attua comunque attraverso una lunga disciplina durante la vita terrena, per poter uscire dal ciclo delle reincarnazioni e non sono mai qualcosa di piacevole per l’anima religiosa che invece desidera la purificazione e l’illuminazione che, possiamo dirlo con piena coscienza, è più di ascendenza platonica che non buddhista o induista.

La visione positiva della reincarnazione è un’interpretazione che potremmo definire di matrice esoterica che si può far risalire alla dottrina platonica della  migrazione delle anime. Bisogna quindi fare molta attenzione a non cadere nell’inganno: se la questione della reincarnazione è legata a pratiche religiose che riguardano il tema della purificazione a partire da questa terra, e quindi si tratta di pratiche ascetiche che in Occidente è molto difficile anche solo pensare, oppure se si tratta di una certa visione della reincarnazione legata a pratiche spiritiche, che non ha nulla a che vedere con una fede o con ascesi che possono portare, già da questa terra, a un certo dialogo con Dio e non con forze spirituali che non presuppongano una fede in Dio.

Ma allora chiediamoci come sia possibile che tanti credenti non credano nella risurrezione della carne e si lascino ingannare fuggendo da una visione concreta della vita umana, cercando una salvezza fuori dalla vita presente e dal reale.

Se ci fermiamo un pò a riflettere perché succede questo, ci si accorge che in realtà nella predicazione, e ancora più nella catechesi, purtroppo oggi troppo poco ci si sofferma sui temi che riguardano la realtà della nostra finitezza, temi che ci mettono a contatto con la nostra vera condizione di fragilità. Parlare della fragilità umana, non solo del peccato ma della malattia e della morte considerata secondo la fede cristiana è fondamentale, perché solo la percezione della nostra estrema fragilità ci può aprire alla realtà che ci attende, e che è certa, per fede, solo per fede, nel futuro.

Si comincia a costruire una cultura di speranza, cominciando a considerare di più quei temi che ci toccano nel concreto, come la morte, il giudizio, che abbiamo già compreso dal video della scorsa settimana essere doppio: uno a seguito della morte prima, cioè di quella corporale, e uno a seguito del giudizio finale, che può decretare la morte seconda, alla fine dei tempi.

La catechesi e l’annuncio di fede dovrebbe portare a riflettere e meditare il grande tema dei novissimi, cioè delle realtà ultime: l’inferno, il purgatorio, cioè lo stato di purificazione di tante persone che, dopo la morte, attendono il secondo giudizio, non per punizione, ma per la grande misericordia di Dio, e infine soprattutto si dovrebbe parlare molto di più del Paradiso! Solo se si considerano queste verità di fede, a partire dalla realtà che viviamo oggi sulla terra, e non da bisogni umani di spiritualità, che, lo sappiamo, portano a un pensiero disincarnate, estraneo dalla fede. La  fede nella resurrezione della carne è concretezza, tocca la nostra vita perché è, di fatto, il cuore della fede cristiana, e se non si crede alla risurrezione della carne è vana la nostra fede, perché la fede nella risurrezione della nostra carne è indissolubilmente legata alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo, in virtù del nostro battesimo.

È quello che ci comunica anche San Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi (1Cor 15,16-17.19): “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede … Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”.

DOMANI PUBBLICHEREMO LA SECONDA PARTE DELLA RIFLESSIONE

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