E’ venuto il momento, per l’Italia, di creare una propria “Solidarność”

Di Gianmaria Spagnoletti

DATO CHE TUTTO È INIZIATO DAL PORTO DI TRIESTE, IL PENSIERO NON PUÒ NON CORRERE A DANZICA, ANCH’ESSA SEDE DI UNA STORICA PROTESTA, NEI CANTIERI NAVALI “LENIN” NEL 1980

 

Sta diventando abituale vedere manifestazioni (sempre più affollate) nel fine settimana, dove le forze dell’ordine reagiscono con durezza portando via di peso la gente che manifesta pacificamente.

Dato che tutto è iniziato dal porto di Trieste, il pensiero non può non correre a Danzica, anch’essa sede di una storica protesta, nei cantieri navali “Lenin” nel 1980. I lavoratori polacchi, con a capo l’elettricista Lech Wałȩsa, chiedevano un aumento di stipendio e il reintegro di Anna Walentinowicz, licenziata per motivi politici.

La protesta si diffuse rapidamente e il Comitato di Sciopero, diventato interaziendale, dettò le proprie richieste in 21 punti, tra cui il diritto di fondare un sindacato libero, libertà di coscienza, libertà di religione, accesso ai mass media, diritto di trasmissione della Messa domenicale e liberazione dei detenuti politici.

L’ondata di scioperi partita da Danzica diventò talmente forte da costringere il governo filosovietico polacco ad aprire delle trattative, che culminarono con l’accettazione dei 21 postulati e col termine degli scioperi. Il nuovo sindacato fu riconosciuto il 10 novembre 1980.

Il nome era SOLIDARNOŚĆ, che significa “solidarietà”, e ben presto arrivò a contare ben 10 milioni di iscritti, oltre a tessere relazioni con i dissidenti di altri Paesi del Blocco Orientale, come la Cecoslovacchia. Date le dimensioni, passò dall’essere una realtà prettamente operaia a estendersi in diversi ambiti professionali, persino nell’Esercito e nella Polizia. E inoltre andò via via perdendo il carattere “sindacale” per diventare un movimento culturale che faceva contro-informazione e intendeva aiutare il popolo polacco a riappropriarsi del proprio destino e della propria identità. Non a caso adottò come simbolo l’icona della Madonna di Czestochowa e l’immagine di Giovanni Paolo II, non solo primo Papa polacco, ma anche aperto sostenitore di Solidarność, insieme al Primate di Polonia, Card. Stefan Wyszyński.

Lo scontro tra il governo polacco e i dissidenti divenne sempre più aspro, finché non fu proclamato lo stato di guerra, con annessa legge marziale, ad opera del generale Wojcjech Jaruzelski e col consenso di Mosca.

Lo stato di guerra prevedeva:
1. abolizione di tutte le organizzazioni, le associazioni e i sindacati
2. divieto assoluto di sciopero e di qualsiasi altro genere di manifestazione
3. militarizzazione di molte fabbriche, della televisione e della radio
4. interruzione totale delle comunicazioni telefoniche
5. controllo della censura su tutta la posta
6. proibizione di spostarsi da una città all’altra senza un lasciapassare
7. introduzione del coprifuoco dalle 22 alle 6 di mattina
8. sospensione della vendita della benzina ai privati
9. chiusura delle scuole e delle università
10. proibizione di espatrio
11. sospensione di tutte le pubblicazioni, ad eccezione dell’organo del partito “Trybuna Ludu”.

Inoltre, le strade erano pattugliate dai carri armati e dai reparti speciali antisommossa (ZOMO) che agivano con estrema durezza, tanto che fino al luglio 1983 (quando si concluse lo stato di guerra) vi furono 10 mila feriti e molte altre persone arrestate e deportate in campi di concentramento. Non mancarono i morti ammazzati, anche se il loro numero esatto non è stato ancora fissato con certezza.

Nel frattempo, Solidarność trovò il modo di riorganizzarsi portando avanti il proprio programma e creando una rete informale di contatti che dava aiuto alle famiglie di coloro che il governo aveva internato o privato del lavoro. Gradualmente, il movimento uscì dalla clandestinità e nel 1989 riuscì a ottenere le prime elezioni semilibere nel Paese.

Tale fu il contributo di Solidarność al crollo dell’armatissimo Blocco Orientale.

Ho voluto fare questo lunghissimo preambolo perché ritengo che sia venuto il momento, per l’Italia, di creare una propria “Solidarność”. So bene che moltissime cose sono cambiate da quel 1980, eppure molte delle 21 richieste fatte dal sindacato potrebbero essere condivisibili ancor oggi, dato che se ieri erano gli scioperanti a rischiare di perdere il lavoro, oggi lo sono i manifestanti “no green pass”; inoltre i media sono a senso unico, l’opposizione è inesistente, e ciò aggrava la persistente crisi economica (solo per dire i fattori più importanti).

Quella di “Solidarność” è una lezione da raccogliere e da adattare ai nostri tempi, ORA. Molte condizioni sembrano essere favorevoli, dato che c’è una parte consistente di cittadini (non riconosciuta dai media, ma non per questo irrilevante), che scende in piazza per i propri diritti (il pass verde non è una misura sanitaria ma politica).

È il momento di unire le forze in un unico movimento popolare non violento che reclami libertà di parola, di educazione, di associazione e anche di cura. Ma non solo: questo movimento dovrebbe prendere a cuore i simboli della storia, della fede cattolica e dell’identità italiana, liberarli dal ridicolo sospetto di “fascismo”, farli conoscere e trasmetterli. Questo è quel che intendo per “Solidarność italiana”. Tuttavia quello che forse ci manca di più (e che darebbe una ottima garanzia di successo) sono dei personaggi del calibro di Wojtyla e Wyszyński. Dei grandi santi, insomma. Speriamo che Dio voglia mandarceli per aiutare la rinascita di questa bistrattata Italia.

 

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