Il dottor Raffaele Cerbini: “Vaccino ai bambini? Sarebbe meglio adottare un principio di precauzione”

di Pietro Licciardi

CON IL DOTTOR RAFFAELE CERBINI PARLIAMO DEL RUOLO DEL MEDICO, DEL GREEN PASS, DI PREVENZIONE E DI CURE PER IL COVID-19

Proseguiamo l’intervista al dottor Raffaele Cerbini, medico specializzato in medicina interna e medicina d’urgenza che ha anche maturato una importante esperienza nel settore farmaceutico per poi dedicarsi a partire dal 2013 alle terapie innovative, inclusa la terapia genica e la terapia somatica cellulare. Soprattutto egli ha seguito, e continua a seguire, fin dall’inizio della pandemia i numerosi e autorevoli studi scientifici internazionali

Dottor Cerbini, cosa pensa del green pass? Lo ritiene una misura sanitaria valida?

«Sarò lapidario: No»

Si spieghi…

«Il green pass non ha alcuna valenza scientifica, né mai potrà averla perché semplicemente fallisce nel suo obiettivo primario, ovvero limitare la possibilità che una persona vaccinata possa essere portatore e diffusore di virus e questo, in letteratura, era evidente già dallo scorso luglio. Anche in Italia, nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità di inizio Dicembre – i dati sono pubblici e facilmente verificabili – sono stati individuati ben 128.000 casi di soggetti positivi al virus SARS-CoV-2 nonostante un ciclo vaccinale completo. In altri termini, si tratta di soggetti diffusori di un virus patogeno e con un “lasciapassare” fasullo».

Cosa sarebbe meglio fare allora per una seria prevenzione?

«Le uniche misure ritenute valide per limitare la diffusione dei contagi sono, nell’ordine: il distanziamento di almeno 2 metri, l’utilizzo delle mascherine FFP2 qualora non sia possibile mantenere il distanziamento, l’igiene delle mani e la pulizia delle superfici che potrebbero essere contaminate. Mi chiedo davvero perché non vi siano obblighi di utilizzare le mascherine FFP2 in tutti i luoghi al chiuso.

Invece sembra che soprattutto i vaccinati, sentendosi al sicuro, non siano più così attenti…

«Effettivamente la falsa impressione di essere protetti, di non essere veicoli di trasmissione virale sia per l’utilizzo di inutili mascherine non omologate, sia per la convinzione di non potersi infettare grazie ad un certificato elettronico verde, ha portato alla riduzione delle giuste precauzioni e, conseguentemente, ad una trasmissione virale che si sta auto-perpetuando in un circolo vizioso».

Quindi, paradossalmente, è proprio il green pass a costituire un pericolo?

«Ormai è stato chiarito che la vaccinazione non ha effetti apprezzabili sulla riduzione della contagiosità in quanto la protezione svanisce in maniera estremamente rapida ed è pertanto estremamente pericoloso fondare la politica di prevenzione dei contagi su uno strumento che causa un falso senso di sicurezza come ho già ricordato. Dico questo perché i fondamenti del green pass sono non solo inconsistenti bensì rendono questo strumento rischioso per la salute e la sicurezza collettiva e individuale, con il rischio concreto di diventare il mezzo più semplice per permettere il contagio stesso».

Una bocciatura quindi su tutta la linea?

«Il green pass, forse, è una misura utile per l’economia, perché permette di creare artificiosamente dei falsi confini di sicurezza senza i quali alcune attività sarebbero da evitare. Ma, come medico, non posso certamente essere contento di questo approccio che, tra l’altro, comporta un costo molto alto, anche se il nostro governo lo ritiene “accettabile”, in termini di limitazione delle libertà personali di una parte dei cittadini italiani, oggi ostaggio anche a causa di altri cittadini, purtroppo, complici».

Eppure il governo al green pass sembra crederci…

«Se il governo davvero credesse che il green pass fosse utile dal punto di vista sanitario, allora dovrebbe imporre l’obbligo vaccinale, assumendosi tutte le responsabilità politiche connesse, ma è evidente che tale obbligo non è giustificato in alcun modo per una patologia che continua la sua trasmissibilità nonostante il vaccino e ha meno dello 0,5% di mortalità, quasi totalmente concentrata sulle fasce anziane e fragili della popolazione. Torna allora il concetto di stimolare la protezione individuale, ovvero l’esatto opposto di tutte le politiche finora adottate dal governo».

Tornando ancora ai vaccini, quelli in circolazione sono effettivamente tali o sono ancora preparati sperimentali di cui ancora non si conoscono tutti gli effetti a medio e lungo termine?

«Su questo voglio sgombrare il campo da interpretazioni scorrette una volta per tutte. La parola sperimentale è sbagliata e confonde. Le approvazioni dei vaccini da parte delle agenzie regolatorie sono state corrette. Il fatto che, in Europa, l’approvazione sia “condizionale” sta a significare che gli eventuali eventi avversi saranno indagati per i mesi e gli anni a venire in maniera molto stretta e se emergeranno. Tutti i farmaci seguono le stesse procedure, sicuramente accelerate nel caso del covid, ma non per questo meno accurate».

Possiamo stare tranquilli almeno in questo?

«Per spiegare meglio il concetto, vorrei per un momento parlare di altre patologie. I farmaci relativi ai necessari trattamenti vengono approvati dalle agenzie regolatorie e di certo non vengono utilizzati in tutti i cittadini, ma solo in coloro che sono affetti da tale patologia e solamente dopo valutazione individuale dell’individuo affetto. La procedura di approvazione della agenzia europea dei medicinali funziona quindi molto bene nel senso di mettere a disposizione le giuste armi da utilizzare nei pazienti, ma il primo problema che salta all’occhio è che per la Covid-19 i singoli Stati (competenti per le decisioni a livello del territorio nazionale) hanno deciso di fare politiche di vaccinazione a tappeto, invece di valutare i pazienti ed i loro fattori di rischio a livello individuale. In realtà il vero punto debole è un altro. Per i farmaci esiste una efficiente farmacovigilanza post-marketing, ovvero, qualora emergessero eventi avversi non evidenziati durante il processo di approvazione, l’intervento potrà essere quello di disporne il ritiro dal commercio. Per i vaccini, purtroppo, non c’è una armonizzazione dei sistemi di vigilanza europei (anche se il comitato Pharmacologic Risk Assessment di EMA è sempre estremamente efficiente). In Italia, purtroppo, le segnalazioni, pur esistenti, non hanno un sistema di graduazione del rapporto di causalità; in altri termini, viene utilizzato un algoritmo che esclude il rapporto di causalità degli eventi con la semplice presenza di altri possibili fattori causali e pertanto una reazione avversa non viene classificata come possibile o probabile, ma solo come indeterminata e, di conseguenza, non correlata. Ci sarebbe davvero molto da fare su questo specifico punto per riacquistare un livello minimo di efficienza nel nostro Paese».

E sugli eventi avversi al vaccino che ci dice? 

«Proprio grazie al lavoro del PRAC già dal Luglio scorso l’agenzia europea dei medicinali ha inserito nel riassunto delle caratteristiche di prodotto dei vaccini a mRNA, una chiara raccomandazione agli operatori sanitari di prestare attenzione ai segni e ai sintomi di miocardite e pericardite. Le persone vaccinate devono essere istruite a rivolgersi immediatamente al medico qualora dopo la vaccinazione sviluppino sintomi indicativi di miocardite o pericardite, quali dolore toracico acuto e persistente, respiro affannoso o palpitazioni e gli operatori sanitari devono consultare le linee guida o specialisti per diagnosticare e trattare tale affezione. L’incidenza di tali reazioni avverse è stata del tutto recentemente stimata in circa un caso ogni 10.000 somministrazioni, con maggior frequenza nei giovani adulti, in particolare di sesso maschile. Sfortunatamente, nonostante la maggior parte di esse presentino un decorso certamente lieve qualora riconosciute tempestivamente, alcune di queste miocarditi non sono affatto benigne come qualcuno ha incautamente affermato in televisione, ma sono state in grado di determinare gravi condizioni cliniche (ben descritte in letteratura scientifica) fino addirittura ad un esito fatale in rari casi, ma di questo se ne parla sempre troppo poco».

Adesso dovrebbe toccare ai giovanissimi e ai bambini…

«In questo caso credo sarebbe meglio adottare un principio di precauzione – primum non nocere – nel momento in cui si pensa di vaccinare i soggetti più giovani e riterrei prudente verificare i dati provenienti dai paesi che hanno già iniziato la vaccinazione pediatrica. Di questo dovremo riparlare presto».

Per difendersi dal Covid il vaccino è veramente l’unica opzione?

«Esistono le cure. Proprio il 6 Dicembre scorso il CHMP della Agenzia europea dei medicinali ha raccomandato l’estensione della indicazione di un farmaco denominato “tocilizumab”, già utilizzato per trattare diverse patologie infiammatorie, per includere il trattamento di pazienti adulti con Covid-19 che stiano ricevendo trattamento sistemico con corticosteroidi e richiedano supplementi di ossigeno o ventilazione meccanica. A breve, quindi, questa ulteriore arma terapeutica – non nuova, comunque – si aggiungerà formalmente ai farmaci già autorizzati per l’uso nella Unione Europea come l’anticorpo monoclonale regdanvimab, l’associazione di anticorpi monoclonali casirivimab/imdevimab e l’antivirale remdesivir. Esiste poi un lungo elenco di altri farmaci che a vario titolo sono entrati nei vari protocolli nazionali o internazionali di trattamento, drammaticamente migliorati dall’inizio della pandemia».

 

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