Ecco chi è il beato Clemente Marchisio

di Mariella Lentini*

I SANTI MANIFESTANO IN DIVERSI MODI LA PRESENZA POTENTE E TRASFORMANTE DEL RISORTO” (BENEDETTO XVI)

 

Clemente Marchisio nasce nel 1833 a Racconigi (Torino). Suo padre è un modesto calzolaio. Clemente è un bambino povero, ma felice di servire Messa ogni mattina come chierichetto. Impara, così, ad amare Gesù e la Madonna e, quindi, sa bene che cosa vuole fare da grande: il prete. Entra in seminario a Torino, sotto la guida di Don Cafasso. Qui incontra anche Don Bosco e Don Cottolengo. I tre sacerdoti, futuri “Santi Piemontesi”, suoi contemporanei, saranno per Clemente un esempio da imitare.

Ordinato sacerdote viene inviato a Rivalba (Torino), un territorio ostile al clero. Nell’Ottocento in Italia soffia, infatti, un vento contrario alla Chiesa e ai suoi rappresentanti. Clemente non si scoraggia. Prete di campagna visita ogni casa sperduta tra le colline torinesi. Umile, non usa nemmeno il riscaldamento – eppure quanto freddo! – per risparmiare denaro da donare ai poveri. La terra è avara e i contadini, in massa, stanchi di morire dalla fatica per mangiare solo polenta, si trasferiscono a Torino, alla ricerca di un qualsiasi lavoro. Anche le ragazze scappano, spesso, però, ad aspettarle trovano rischi e pericoli.

Don Marchisio, per farle restare in paese, crea per loro un laboratorio tessile. Il giovane parroco, armato di buona volontà ed entusiasmo, impartisce il catechismo ai bambini, predica con parole semplici che toccano i cuori e recita tutti i giorni il Rosario, preghiera tanto cara alla Madonna. Attira in chiesa quasi tutti i parrocchiani, anche quelli che, pentiti, prima gli imbrattavano la porta e gli spaccavano le finestre. Don Clemente sente di dover pensare di più alla Messa, funzione religiosa in cui crede molto. Si accorge che in alcune parrocchie le ostie e il vino non sono fatte solo di grano e uva.

Questi due importanti elementi, che costituiscono per i fedeli il corpo e il sangue di Gesù, devono essere confezionati con vero grano e vera uva. Il parroco, allora, nel Castello di Rivalba fonda la Congregazione Le Figlie di San Giuseppe, chiamate anche “le suore del vino o delle ostie”, tuttora attive. Spesso si vede Don Marchisio aiutare le suore e trasportare pesanti sacchi di farina utilizzata per le ostie, o cesti colmi d’uva da torchiare per estrarne il vino. Il sacerdote muore nel 1903 a Rivalba. Oggi le Figlie di San Giuseppe continuano la loro opera a Roma, in Italia e all’estero, realizzando ciò che serve per la celebrazione della Messa: vino, ostie, candele, incenso, tovaglie e tuniche di lino.

 

* Autrice del libro
“Santi compagni guida per tutti i giorni”

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