Dobbiamo essere aquile e non galline

di don Giuseppe Agnello

SAN GIOVANNI GUARDA IL MISTERO DI DIO, LO DESCRIVE CON CHIAREZZA E CI SPINGE A VOLARE IN ALTO, COME LE AQUILE REALI

Oggi, Giovanni evangelista, come nel giorno di Natale, ci riporta a considerare le altezze e le profondità del mistero che coinvolge il Fíglio di Dio fuori del tempoIn princípio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»); nel tempo storico di 2000 anni faIl mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto»); e in ogni tempoA quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che crédono nel suo nome»).

Giovanni ci parla del Dio che da sempre c’è, insieme a suo Fíglio nell’eternità; e di Gesú che è quello stesso Fíglio che si fa vedere bambino ed èssere umano, perché vuole abitare in mezzo a noi e vuole farci diventare figlî come Lui.

Giovanni ci spiega ciò che per grazia ha visto di questa verità inconcepibile da mente umana, nei suoi tre momenti di sviluppo: prima che il mondo esistesse, quando la storia dell’umanità era pronta ad essere rinnovata, e infine in quel tempo che noi indichiamo con l’espressione “Dopo Cristo”. 

Tutto ci riguarda di quello che san Giovanni vede e descrive con la fede del discepolo amato! Tutto è una risposta a piú che una curiosità! Pensate che i filosofi hanno speso tutta la loro vita per riflettere su Dio, sul mondo e sull’uomo, cercando di dare risposte, che purtroppo si dimostravano sempre parziali, superabili e superate.

Non cosí con la Rivelazione che Dio stesso fa di Sé stesso; che Dio fa del «disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia» (Ef 1, 5-6); che Dio fa lasciando a Gesú il compito di spiegarci chi è Dio e chi è l’uomo, il perché della creazione e redenzione; e il senso di tutte le scritture.

Gesú è il Verbo, cioè la Parola che spiega tutto, la Sapienza che insegna e regge tutto, la Persona che è anche quel Principio regolatore di ogni ordine e bellezza della realtà: quel principio di senso che i filosofi stoici avevano chiamato con parola greca “Logos”, e che è appunto la stessa parola che noi traduciamo con Verbo.

San Giovanni descrive tutto questo nell’inizio del suo Vangelo e ci dice: cerchisenso e spiegazione ad ogni cosa grande o píccola, del passato o del futuro, della vita personale o mondiale, dello spírito o della materia? Considera le verità che ti sto dicendo e avrai luce ovunque e vita rinnovata, che comíncia adesso e non finisce piú.

Giovanni è paragonato a un’aquila nella Scrittura e nella tradizione cristiana proprio per questo motivo: egli ci fa guardare il Sole e volare in alto fino alla divinità di Cristo, come fa un’aquila. Gli antichi, infatti, credevano che l’aquila fosse l’unico uccello a poter volare piú in alto degli altri e puntando anche lo sguardo verso il sole, senza per ciò restarne accecata.

San Giovanni fa questo: guarda il mistero di Dio; lo descrive con chiarezza; e ci spinge a volare in alto, come le aquile reali. Le sue parole fanno chiarezza anche su tanti passi dell’Antico Testamento come quello del Siràcide che oggi costituiva la prima lettura.

Abbiamo sentito queste parole sulla Sapienza: «Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion» (Sir. 24, 9-10). In queste parole c’è detto in che rapporto sta la creazione nei confronti di Cristo Signore: Egli vi appartiene in quanto Uomo che si è stabilito con la sua tenda, cioè la sua umanità, nel popolo di Sion (“venne fra i suoi” dice san Giovanni); ma il fatto che appartenga anche alla creazione non fa di Gesú un inferiore a Dio che lo ha creato. Si dice infatti: « Prima dei secoli, fin dal princípio, egli mi ha creato», quindi c’è un Dio fuori del tempo, fin da principio, che in Sé Stesso ha già il proposito di un sacerdozio eterno a vantàggio di qualcuno che ancora non esiste.

Chi non esiste ancora sono Adamo ed Eva, ma nella prescienza di Dio servirà a loro che Dio offici davanti a Dio a loro favore: faccia cioè quello che un sacerdote faceva nel Tempio a vantàggio del popolo. Per questo la Sapienza dice: «Nella tenda santa davanti a Lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion».

Questo sacerdote eterno, dunque… Quest’Uomo Eterno, nato ebreo, sta davanti a Dio per portare noi stessi in Sé Stesso davanti a Dio, e far piovere su di noi «gràzia su gràzia» (Gv 1, v.16).

Noi possiamo accettarlo o rifiutarlo. Anche questo ci dice il pròlogo di san Giovanni ed è questo che vorrei ci restasse oggi di questa liturgia natalízia.

«Il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1, 10-11).

Benché la Sapienza Eterna voglia diventare sapienza di vita per tutti, c’è anche oggi chi vuole continuare a vivere come se dio non esistesse; come se Dio non si sia fatto conoscere e dunque non sappiamo che pensare di Lui. 

L’uomo che cerca solo in sé stesso la risposta a cose piú grandi di lui, miseramente avanza nel futuro, fra scoraggiamenti, amarezze, sconsolanti verità parziali, e con obbiettivi limitati ai bisogni del momento anziché ai bisogni dell’anima. Quando poi capisce che ha bisogno di «grazia e verità», ma ancora rinnega che il «Fíglio unigenito che viene dal Padre è pieno di gràzia e di verità» (Gv 1, v.14), si affannerà nella ricerca e pratica di filosofie alternative, di cibi alternativi, di profumi e pietre alternative e con proprietà “magiche”; di tecniche di rilassamento o di purificazione alternative, con una sapienza fai-da-te che dovrebbe ricordarsi almeno di queste parole: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e benedetto l’uomo che confida in Dio» (Ger 17, 5 e 7). 

La non accoglienza di Dio in mezzo a noi o la sua accoglienza gioiosa dipèndono dall’idea che abbiamo di noi stessi. 

Non accoglie Dio chi dice fra sé e sé o “Posso tutto” o “Dubito su tutto”. 

Accoglie DIO chi scorge un disegno di amore in tutto ciò che vede attorno a sé e dice “grazie perché ci sono” e “grazie perché ci sei”.

San Paolo questo grazie lo ha espresso oggi cosí: « Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1, v.3) e quanto segue del primo capìtolo della Léttera agli Efesini. San Giovanni lo ha fatto con il suo prologo, che è tutto un gràzie alla bontà del Padre e del Figlio che ci hanno fatti figli. Noi dobbiamo esprimerlo con la vita, accettando di essere aquile e non galline. Dobbiamo volare in alto, non avere vite mediocri. L’aquila del resto ha un altro significato nella Scrittura: è l’animale che ringiovanisce sempre, ad ogni immersione in acqua. Anche noi dobbiamo restare sempre giovani, entusiasti della nostra fede e forti e coraggiosi, dopo ogni immersione nella grazia di Dio.

 

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