Chiesa e povertà: Arnaldo da Brescia

di Aurelio Porfiri

LA DIFFERENZA FRA SPIRITO DI POVERTÀ E PAUPERISMO

Sappiamo come uno dei temi caldi degli ultimi anni è quello della Chiesa povera per i poveri. Io ho sempre cercato di attirare l’attenzione sul pericolo nascosto in affermazioni come questa ed intendo spiegarmi per bene. Certamente tutti ricordano che nelle beatitudini viene detto: beati i poveri. Ma non si vuole però ricordare che la frase completa è: beati i poveri in spirito. Cioè coloro che affrontano l’esistenza con uno spirito scevro delle cose che lo appesantiscono, tra cui l’attaccamento alle cose materiali.

Certo, il confine tra “beati i poveri in spirito” e il pauperismo è spesso labile. Doveva saperne qualcosa Arnaldo da Brescia (1090-1155), riformatore che forse si spinse troppo nell’insistere nella Chiesa povera per i poveri come la Chiesa delle origini (uno dei temi ricorrenti del modernismo).

Arsenio Frugoni, nella sua voce dedicata ad Arnaldo (1962, Dizionario Biografico degli Italiani) tra l’altro così dice: “Religiosa è l’ispirazione di Arnaldo. La sua predicazione, vibrante di motivi ascetici, raccoglie i “continentiae sectatores”, ha l’appoggio dei modesti cappellani che non vogliono più ubbidire ai loro superiori, cardinali e arcipreti, – ci dice una lettera di Eugenio III (da Brescia il 15 luglio 1148), – ha il favore del popolo, soprattutto “apud religiosas feminas“.

La sua condanna della Chiesa feudale e mondana non si traduce in un’istanza di riforme, all’interno; con violenza eversiva, la Chiesa della tradizione e della gerarchia è tutta negata, in una richiesta pauperistica, di imitazione evangelica, essa solo fondamento di una nuova sacerdotalità. La radicalità di questa posizione, naturalmente, aveva il suo punto di incontro nella lotta romana contro il pontefice: A. si legò con giuramento all’onore dell’Urbe e della repubblica dei Romani che gli aveva promesso assistenza e protezione (“frequenter in Capitolio et in publicis contionibus audiebatur“). Poi, di fronte al pericolo di un cedimento del Comune, per il morso dei problemi concreti, si volse ad appoggiare la soluzione imperiale, nella speranza che questa stabilizzasse la ribellione antipapale di Roma”. Il suo fu un pensiero radicale che pagherà con la vita, ma che aveva anche alcune mancanze da cui era certamente segnato.

C’è differenza fra spirito di povertà e pauperismo. Il primo ci spinge a non coltivare l’attaccamento per le cose materiali anche se ci troviamo a doverle gestire. Se la Chiesa vuole soccorrere chi è nel bisogno deve possedere scuole, ospedali, istituzioni caritative…altrimenti non sarebbe in grado di aiutare chi è in condizioni di povertà. Il pauperismo è l’esaltazione della povertà in sé stessa, intesa nel suo aspetto materiale come privazione. Ma non vi è nulla da esaltare nella sofferenza di chi manca dei mezzi di sussistenza come cosa a sé stante, perché certamente la Chiesa vuole che tutti possano vivere dignitosamente e in grazia di Dio.

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