Sacra Famiglia: trascendenza ed insegnamento

di Diego Torre

OGNI FAMIGLIA E’ SACRA

 

Viviamo nel tempo dell’attacco alla famiglia naturale, oscurata da divorzi e convivenze; non più unione feconda e fedele tra un uomo e una donna; non più “per sempre”. Mentre ogni accoppiamento e fecondazione diventano leciti, degni di rispetto e di salvaguardia legislativa,  le giovani coppie non sono aiutate, né sotto il profilo socio-economico, né sotto quello culturale-spirituale.

Già nel 1921 la festa della Sacra Famiglia, quando venne estesa a tutta la Chiesa da Benedetto XV, era palese anche allora che andasse sostenuta e posta a modello per ogni famiglia, cellula della società e chiesa domestica. 

La Chiesa celebra l’incarnazione del Verbo all’interno di una singola famiglia umana e anche per Gesù il contesto familiare è voluto e predisposto. Ciò rientra nella logica dell’incarnazione ma significa anche che la famiglia parla di Dio. La Sacra Famiglia ci ricorda che ogni famiglia è sacra, ed è fondata sull’amore dei coniugi, un amore puro, totale, fatto di donazione e non di possesso. Maria e Giuseppe sono un esempio per tutti i “coniugi” (cum jugum): vivono la quotidianità che, nonostante la presenza del Figlio di Dio, è irta di sofferenze e fatiche; così facendo si santificano assieme, non nonostante il matrimonio ma grazie ad esso.

Da notare soprattutto come essi non “pianifichino” la venuta del Figlio, ma la accolgono come dono “sorprendente”. Essi sono un esempio per tutti gli sposi; si evince da alcune sfumature della Scrittura quante attenzioni avessero per l’altro.

San Josèmaria Escrivà la chiamava “la trinità in terra”, il modello di tutte le altre famiglie. E ricordando come Betlemme fosse una cattedra dalla quale tutti ci insegnavano qualcosa, diceva che “a Betlemme nessuno tiene niente per sé, tutto è messo a disposizione del progetto di Dio che è la Redenzione”. 

Maria vivrà l’obbedienza: nell’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele; il suo sposalizio con Giuseppe, secondo i disegni di Dio e secondo la legge ebraica; conserva la sua verginità; visita s. Elisabetta; partorisce lontano da casa obbedendo all’editto imperiale; alleva Gesù Bambino con normali attenzioni, ma con nel cuore i segreti della Sua identità e dell’abisso di dolori che Li attende. 

Obbedisce anche quando non capisce.  Richiama Gesù ormai dodicenne, che si era fermato nel Tempio con i dottori, mentre Giuseppe e Lei Lo cercavano angosciati da tre giorni. “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). E ancora, quando Gli dicono che Lo cercano Sua madre e i Suoi fratelli: “Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).  E alle nozze di Cana: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). Non vi è spazio per obiezioni alle “sparate” di Gesù. I due santi coniugi tacciono e interiorizzano, intuendo ragioni di ordine superiore, espressioni della volontà divina.

In realtà Gesù, in ogni circostanza rilancia, anche dall’interno dei doveri ed affetti familiari, a una dimensione ancor più alta e trascendente ed in questo dà insegnamento ai suoi genitori e ad ognuno di noi. Vuole farci guardare sempre più in là del nostro naso, anche più in là di quelle leggi naturali che pure Egli stesso ha stabilite. Ciò è gravoso per i genitori che crescono i figli e fanno legittimi progetti su di essi. Ma l’esperienza insegna che tali progetti spesso falliscono.

E’ naturalmente lecito che i genitori progettino e che i figli scelgano in libertà. La sintesi che supera e sublima queste due posizioni è il progetto di Dio, l’unico che realizza perfettamente la felicità terrena ed eterna degli uomini. Non è facile scoprirlo ed attuarlo, ma è l’unico fine che valga la pena di perseguire e che se cercato con umiltà viene raggiunto. Ciò avvenne anche nella Sacra Famiglia. Come reagiva Maria dinnanzi a tali “sorprese”: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Non comprendere subito il piano di Dio non significa contestarlo; la difficoltà c’è. E questo vale fortemente negli affetti familiari, nei quali il legame naturale può diventare un ostacolo al progetto di Dio.

Giuseppe vivrà l’incomprensione del piano celeste con la sovrannaturale gravidanza della Sua sposa, con il viaggio a Betlemme, con la fuga in Egitto e il rientro a Nazaret ; con tutte le relative problematiche interiori, logistiche ed economiche. E chissà di quant’altro non sappiamo. Gli basta sapere quello che Dio vuole da lui; in quel momento. Egli  non chiede “di vedere assai lontano, mi basta un passo, solo il primo passo, conducimi avanti,” come prega il card. Newman nel suo Luce Gentile, attraversando lo stretto di Messina.

Diceva san Josèmaria Escrivà che “Giuseppe è una figura colossale, che deve portare a compimento un progetto divino sulla terra, e che si sa nascondere…Il Santo più bello e protetto da Dio: limpido, virile, prudente, integro, forte e soave…”.  E ancora: “Fu un uomo forte nella fede…; mandò avanti la sua famiglia — Gesù e Maria — con il suo lavoro gagliardo…; custodì la purezza della Vergine, che era sua Sposa…; e rispettò — amò! — la libertà di Dio, che non solo scelse la Vergine come Madre, ma scelse anche lui come Sposo della Madonna” (Forgia, n. 552). 

Almeno dal Cinquecento viene sottolineato il suo ruolo di patrocinio della famiglia cristiana; in età moderna e contemporanea si sviluppa sempre più l’attenzione alla spiritualità matrimoniale in riferimento alla sua figura e si indica la famiglia di Nazaret quale modello (cf. Mons. C. Naro, omelia 26.12.2004)

La famiglia dell’Antico Testamento è un mondo ordinato, dove i ruoli sono volontariamente rispettati e regna la pace. In essa vi è ogni benedizione: di beni materiali e di numerosa prole. Il Signore la benedice ed il suo ruolo sociale è fondativo e benemerito, essendo la società una famiglia di famiglie. Ma nel Nuovo Testamento tale visione, pur permanendo, è sovranaturalizzata, sublimata in vista del Regno. Esorta S. Paolo: “quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero” (1 Cor 7,29). Dio ha scelto di  nascere in una famiglia, dove vi sono sofferenze e difficoltà, gioie e sofferenze, eventi lieti e tristi e logiche a volte misteriose ed inspiegabili. Tutto ciò è stato sovranaturalizzato e reso strumento di santificazione. “Ogni famiglia se modellata sull’esempio della famiglia di Nazareth, acquista un carattere sacramentale perché diventa segno della rivelazione dell’amore di Dio” (Mons. C. Naro, omelia 26.12.2004). 

“La casa di Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare. Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo. Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazaret! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazaret. In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto. Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore” (Dai «Discorsi» di S. Paolo VI, Nazareth, 5 gennaio 1964).

 

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non scrivo per essere pubblicato, ma come suggerimento al sito.
l’articolo è molto bello, ma…l’icona della Sacra Famiglia è “eretica”!
la mano di Giuseppe sopra la spalla di Maria significa, in termini iconografici, la “conoscenza” sessuale. Comunque questa icona la si può trovare anche nella versione corretta.
Buon lavoro!
Bruno PD