Tutti siamo chiamati a custodire la vita
di Giuseppe Brienza
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UNA RIFLESSIONE SULL’EUTANASIA E SUL SUICIDIO ASSISTITO A PARTIRE DAL MESSAGGIO DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA PER LA 44ª GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA
Tutti siamo chiamati a custodire la vita, hanno ricordato i Vescovi Italiani nel Messaggio per la 44a Giornata nazionale per la Vita, che si celebrerà sabato prossimo all’insegna del messaggio di Genesi 2,15: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».
Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nell’offrire l’annuale meditazione per questa benemerita iniziativa che ha come fine principale la diffusione della cultura della vita in tutte le sue forme, ha voluto porre giustamente l’attenzione anche sul tema dell’eutanasia, a due mesi dalla presentazione alla Camera dei deputati del testo unico sul suicidio assistito che ha come primi firmatari i deputati Alfredo Bazoli (Pd) e Nicola Provenza (Movimento 5 stelle).
I Vescovi hanno quindi affermato nel Messaggio che «non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. Chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore».
«Mettere termine a un’esistenza – aggiunge la CEI nel Messaggio per la 44ma Giornata nazionale della Vita – non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione».
Dietro visioni politiche e culturali che invocano la “dignità del morire” per giustificare la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito, c’è in realtà una cultura dello scarto, denunciata tante volte da Papa Francesco, una deriva che sta contagiando anche alcuni cristiani poco formati o poco caritatevoli. Alla cultura dello scarto, ribadiscono i Vescovi Italiani, dobbiamo contrapporre la cultura della vita attraverso un percorso di umanizzazione, solidarietà e ricerca di senso negli ospedali ed hospice per cure palliative che, piuttosto, andrebbero finanziati e realizzati in tutta Italia, dopo ben 12 anni dall’approvazione della legge istitutiva (la n. 38 del 2010).
Noi tutti sappiamo che inabili, disabili, malati e anziani rappresentano un costo non indifferente per le casse dello Stato. In una società occidentale che invecchia offrire pillole o “farmaci” per morire prima del tempo diventa quindi molto più conveniente che fornire cure, assistenza e strutture adeguate a coloro che affrontano il dolore, le malattie o anche il semplice decorso della vecchiaia che, ricordiamolo, non è una malattia, bensì una fase della vita, della vita di tutti.
Negli ultimi trent’anni abbiamo visto spesso dei tagli alla sanità pubblica italiana (statale e non statale) effettuati senza criterio, sulla base della sola logica quantitativa o del rispetto dei dettami dell’austerità finanziaria imposti dall’Unione europea, cui prodest? Cioè a chi è convenuto? Ma a chi fa profitto (cioè business) in settori così delicati come quelli medico e farmaceutico, evidentemente. Aprire le porte alla autodeterminazione della vita umana non solo ai “malati terminali” (anche questo caso sarebbe sbagliato, sia chiaro), ma anche a chi “soffre” per malattie (anche psichiche) più o meno gravi, porterà inevitabilmente alla normalizzazione del suicidio assistito di malati cronici non gravi (curabili ma non guaribili) fino ad arrivare a quello dei depressi e delle persone con problemi psichici che ne faranno richiesta, come avviene in Belgio e in Olanda, Paesi che hanno legalizzato l’eutanasia attiva, quella cioè nella quale la morte è causata direttamente con somministrazione di farmaci letali.
Insomma, se iniziassimo col “suicidio di Stato” per inabili, disabili e malati gravi ma non in fase terminale, presto arriveremo a dare favorire l’eutanasia agli anziani o minori depressi o stanchi della vita (“eutanasia pediatrica”). Una deriva già presente in Olanda e in Belgio dove, a vent’anni dall’introduzione dell’eutanasia (rispettivamente nel 2002 e 2003) le “dolci morti” o per suicidio assistito hanno raggiunto il 5% del totale! Questo processo antiumano, caratterizzato dalla mancanza di Fede religiosa e dal diffuso senso di solitudine sociale, è quanto di più lontano dalla compassione e dalla solidarietà umana verso chi soffre. Tornare alla promozione della famiglia, alla comunità, alla relazione, alla cultura della cura e dell’inviolabilità della vita umana innocente è il primo passo per cercare di invertire la rotta.