Parole che non ti aspetti sul dolore

a cura di Angelica La Rosa

Se Dio c’è ed è come ce lo ha raccontato Gesù, un Padre misericordioso, come può esistere il dolore, come può permetterlo? Non cercate nella Scrittura una risposta al grande quesito. Ma nemmeno, come ancora succede, dite che Dio apprezza la sofferenza o, peggio, che la invia. Niente del genere. Parlare del dolore significa entrare nel tempio sacro del mistero. Disposti ad ascoltare, a ragionare, a meditare, a guardare, fino ad arrivare ai piedi della collina dove Dio, anziché ribellarsi al dolore inflittogli dagli uomini, lo assume e lo redime.

E’ questa la tesi, teologicamente contestabile, che Paolo Curtaz espone in “Sul dolore. Parole che non ti aspetti” (Edizioni San Paolo 2022, pp. 256, euro 16, uscito ieri nelle librerie).

“In conseguenza del peccato originale la natura umana, senza essere interamente corrotta, è ferita nelle sue forze naturali, è sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, ed è incline al peccato. Tale inclinazione è chiamata concupiscenza”, ha scritto, invece, Benedetto XVI nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 77. E sempre lo stesso Pontefice emerito, al numero 281 ha ricordato che “Nell’Eucaristia, il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo Corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro sono uniti a quelli di Cristo. In quanto sacrificio, l’Eucaristia viene anche offerta per tutti i fedeli vivi e defunti, in riparazione dei peccati di tutti gli uomini e per ottenere da Dio benefici spirituali e temporali. Anche la Chiesa del cielo è unita nell’offerta di Cristo”.

Ancora non si può dimenticare quanto lo stesso Pontefice tedesco afferma al numero 314: “La compassione di Gesù verso gli ammalati e le sue numerose guarigioni di infermi sono un chiaro segno che con lui è venuto il Regno di Dio e quindi la vittoria sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte. Con la sua passione e morte, egli dà nuovo senso alla sofferenza, la quale, se unita alla sua, può diventare mezzo di purificazione e di salvezza per noi e per gli altri”.

 

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