Attivisti pro-vita rischiano 11 anni di carcere per azione non-violenta

di Angelica La Rosa

NEGLI STATI UNITI DI BIDEN SANZIONI ESTREME PER CHI PREGA E PROTESTA DAVANTI A “CLINICHE” CHE PRATICANO ABORTI TARDIVI


Nove attivisti pro-vita statunitensi rischiano una condanna a 11 anni di carcere per aver organizzato un’azione non-violenta a Washington. Il gruppo è stato denunciato dal Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden per avere bloccato l’ingresso, nell’ottobre 2020, di una clinica per la “salute riproduttiva” di Washington nella quale vengono eseguiti anche aborti tardivi.

Gli anti-abortisti accusati sono Lauren Handy, 28 anni; Jonathan Darnell, 40 anni; Jay Smith, 32 anni; Paulette Harlow, 73 anni; Jean Marshall, 72 anni; John Hinshaw, 67 anni; Heather Idoni, 57; William Goodman, 52 anni e il “veterano” pro-life Joan Andrews Bell, 74 anni.

Lo scorso 30 marzo il Dipartimento di Giustizia ha annunciato che il vice procuratore generale Kristen Clarke, della Divisione per i diritti civili del DOJ (acronimo del Department of Justice), insieme al procuratore degli Stati Uniti Matthew M. Graves per il Distretto di Columbia, hanno emesso un atto d’accusa contro i nove pro-life “per crimini federali contro i diritti civili in connessione con una tentata invasione di una clinica di salute riproduttiva a Washington DC, avvenuta il 22 ottobre 2020“.

Le accuse sono relative alla violazione della Law of Free Access to the Entrance of Clinics, per la quale ciascuno degli imputati rischia fino a 11 anni di reclusione, oppure tre anni di reclusione con successiva libertà vigilata e una multa fino a 350.000 dollari.

Ma cosa è successo davvero? Il 22 ottobre dello scorso anno i nove anti-abortisti sono entrati nel Washington Surgi-Center, una clinica per aborti di Washington situata al 2112 di F Street, per raggiungere delle donne che si erano prenotate l’aborto e, una volta dentro, hanno cercato di offrire aiuto alle famiglie che volevano abortire consigliando loro di cambiare idea, pregando con loro e informandole sui centri di aiuto alla vita locali. Quindi i pro-life hanno fatto un’azione di protesta bloccando gli ingressi al centro per aborti e posizionandosi intorno al complesso per impedire fisicamente l’accesso all’edificio.

Lauren Handy, che ha organizzato l’azione, ha spiegato a LifeSiteNews che in questa fase storica stiamo ormai “affrontando faccia a faccia il male, per questo usiamo anche i nostri corpi come scudi per proteggere dall’aborto i nostri fratelli non ancora nati“.

Secondo il comunicato stampa del Department of Justice gli anti-abortisti si sono invece “impegnati in una cospirazione per cercare di bloccare le attività della clinica ed impedire ai pazienti di ricevere servizi di salute riproduttiva“. Chiariamo che “salute riproduttiva” è la formula orwelliana per indicare l’uccisione di essere umani innocenti nel grembo materno.

Il Dipartimento di Giustizia sostiene che i pro-vita hanno violato la Law of Free Access to the Entrance of Clinics operando un’ostruzione fisica per danneggiare, intimidire e interferire con il lavoro dei dipendenti della clinica.

La dottoressa Monica Miller, direttrice di Citizens for a Pro-Life Society e leader di Red Rose Rescue, ha dichiarato a LifeSiteNews che “otto dei nove pro-life sono stati letteralmente arrestati durante un raid dell’FBI nelle loro case e nei loro luoghi di lavoro”. Uno di loro, Will Goodman, non è stato individuato dagli agenti dell’FBI ma intende consegnarsi alle autorità federali.

Miller ha detto a LifeSiteNews che il passaporto di Heather Idoni è stato sequestrato dalle autorità federali, “il che significa che probabilmente le sarà impedito di partecipare a una missione che aveva già pianificato per aiutare i rifugiati in Ucraina e sostenere il figlio adottivo ucraino che vive nel Paese dilaniato dalla guerra“.

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