Veglia Pasquale: nelle litanie dei santi le glorie dell’antica “Cristianità africana”

di Redazione

DOMANI NOTTE INVOCHEREMO NELLE LITANIE DEI SANTI DELLA VEGLIA PASQUALE IL NOME DELLE GIOVANI SANTE PERPETUA E FELICITA, MARTIRIZZATE A CARTAGINE – L’ATTUALE TUNISI – IL 7 MARZO DEL 203. SONO LE SPOSE E MADRI PIÙ CONOSCIUTE E VENERATE DELL’ANTICA “CRISTIANITÀ AFRICANA

Le sante Perpetue e Felicita, venerate sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa, erano due giovani africane, spose e madri, che subirono il martirio sotto l’imperatore Settimio Severo, a Cartagine, il 7 marzo 203. Assieme a loro furono martirizzati anche i servi di Perpetua: Revocato, Saturnino e Secondino. Con loro anche il catechista di Perpetua, Satiro, il quale, pur non essendo presente al momento dell’arresto, si consegnò spontaneamente alle guardie.

Al momento dell’arresto, tranne Satiro, gli altri cinque erano catecumeni poi presero subito il battesimo.

Vibia Perpetua era una nobile e colta matrona di Cartagine. Quando fu arrestata aveva circa 22 anni. Il padre era pagano, mentre la madre e i due fratelli erano cristiani. Aveva appena partorito un bambino e fece molta fatica ad ottenere che stesse con lei in carcere.

Felicita si trovava incinta all’ottavo mese. Lei ed i compagni di prigione pregarono il Signore (ed ottennero) che le venisse concesso di partorire prima dell’esecuzione stabilita, in modo che potesse morire in loro compagnia.

Sui giorni trascorsi in carcere dai prigionieri abbiamo un resoconto noto sotto il nome di Passione di Perpetua e Felicita, una specie di diario di prigionia. Iniziato da Perpetua, questo resoconto fu poi continuato da altro autore (forse Tertulliano) che narra il comportamento e lo stato d’animo dei martiri nel giorno dell’esecuzione.

Sono commoventi le pagine in cui Perpetua descrive le tristi condizioni del carcere sotterraneo, il caldo afoso, la puzza, la rozzezza dei carcerieri. Commoventi anche le continue visite disperate del padre, che scongiurava accoratamente questa figlia a ritrattare per amore della famiglia. La figlia, pur imbarazzata e col cuore straziato di fronte ad un genitore che amava e dal quale si sentiva amata, rimaneva tuttavia ferma: «Io non posso chiamarmi in altro modo se non ciò che sono, cioè cristiana». Perpetua narra anche alcune visioni che le anticipano il martirio e la sorte che la attende in cielo.

Il 7 marzo fu «il giorno della loro vittoria». Condotte nell’anfiteatro di Cartagine, in occasione dei giochi per la nascita del figlio dell’imperatore, prima passarono sotto i colpi degli staffili in mano ai carnefici in fila, quindi, dovettero affrontare le lacerazioni delle belve mosse loro incontro (cinghiale, orso, leopardo, toro), infine il coltello dei carnefici.

Durante i dolori del parto, una guardia disse a Felicita: «Se tu già ora gemi, come farai a sopportare i dolori del martirio?». Felicita rispose: «Ora sono io a soffrire ciò che soffro; là invece ci sarà in me un altro che soffrirà per me perché anch’io soffrirò per lui» (Passione, § 15,4).

Perpetua e Felicita sono tuttora invocate nelle litanie dei santi, nella veglia pasquale e nel canone romano della messa. Esse ricordano ai cristiani i tempi e i luoghi nei quali, compreso oggi, conservare il tesoro della fede è un impegno da mantenere a qualsiasi costo. Ricordano anche la Chiesa spoglia di protezioni e di beni terreni, ma appunto per questo libera e bella, perché poteva confidare solo sull’aiuto di Dio e non lasciava inquinare il suo volto santo.

Ricordano infine che il sangue versato e la croce portata per il nome di Cristo, lungi dal costituire segni di debolezza umana sono segni di eroicità spirituale e, appunto per questo, resi fecondi dallo Spirito Santo. Per cui, come scriveva Tertulliano che fu testimone di tanti martiri del tempo, il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.

*Testo pubblicato per gentile concessione della rivista “Charitas. Bollettino rosminiano mensile” [anno XCVI, n. 3, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa (VB) marzo 2022, pp. 54-55].

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