L’uso dei social media, riflesso del cuore umano…

di Enzo Vitale

ALCUNI FATTI DI CRONACA CI AIUTANO A CAPIRE DA COSA DIPENDE L’ETICITÀ DELL’UTILIZZO DEI MODERNI MEZZI DI COMUNICAZIONE

Giudicare è sempre sbagliato. Eppure è una cosa che facciamo con una facilità inaudita. Se poi si tratta di questioni che risultano particolarmente delicate e che solleticano il vezzo di non pochi che ritengono di dover e poter dire la propria, si scatena, inevitabilmente, la carneficina mediatica.

Mi viene in mente quanto ha animato le prime settimane primaverili di quest’anno portando alla ribalta della cronaca la presunta storia tra la preside di un liceo romano ed uno liceale con responsabilità a livello studentesco.

Sin dall’inizio, infastidito da quanto con troppi particolari era raccontato dai quotidiani nazionali che, con l’inaudita acredine di grida allo scandalo, stavano già costruendo la pira, ho pensato che la vera problematica si ponesse su un piano diverso e ben preciso e che richiedesse, inevitabilmente, una specifica riflessione. Ovviamente, in questi casi ci vuole tempo, quello che proprio non sono disposti a concedere i perbenisti farisei della notizia dell’ultima ora. Per tale ragione, preferii non “perderci tempo”.

Adesso, invece, che la dirigente sembra essere stata scagionata vorrei far notare un particolare forse troppo trascurato nell’analisi della vicenda: mi riferisco all’utilizzo dei mezzi di comunicazione che avrebbero testimoniato la presunta tresca.

È impressionante la facilità con la quale sono ridotti a canali di guerra, lanciamissili virtuali che, purtroppo però, fanno vittime reali. E mi chiedo: cosa vive una persona che dovrebbe godere la presunzione di innocenza quando la propria vita è violentata apertamente in un mondo che di virtuale non ha un bel niente? Domanda a cui tutti potremmo dare risposta, ma che pochi si preoccupano di porre.

E, a tal riguardo, mi ha colpito, in questi giorni, la confidenza di un esperto nel settore informatico che mi raccontava di come, uno dei punti principali della guerra in atto alle porte d’Europa, si stia consumando a livello informatico e come, anche noi italiani, rischiamo tanto da questo punto di vista.

I veri colonnelli che aizzano le truppe non sono, quindi, coloro che guidano i soldati sul campo, ma esperti hacker capaci di mandare in tilt una nazione dal comodo salottino di casa.

Ma cosa c’entra tutto questo con la sfortunata vicenda della preside romana? Cosa hanno in comune una becera storia di cronaca con una guerra che fa migliaia di vittime?

Innanzitutto, bisogna accettare il fatto che i social, soprattutto quelli di messaggistica istantanea, siano divenuti tanto indispensabili da essere pericolosi. Necessari perché permettono una diretta e piena condivisione di informazioni utili al bene comune: pensate, nel caso di pericoli imminenti, quanto possano essere d’aiuto per evitare un numero di vittime altrimenti enorme. Pericolosi perché coloro che li utilizzano, ne possono fare un cattivo uso e, oltre alle inarrestabili fake news, arrivare al massacro di chi, incautamente, ne presta il fianco.

E la differenza, per arrivare al punto e farla breve, non sta nel mezzo che utilizziamo, ma nella moralità del soggetto che lo usa.

L’hacker di cui sopra potrebbe – vogliamo adesso fantasticare! – far partire un missile come anche fermarlo. Se sia fattibile non lo so. Ciò di cui sono certo è che la bontà o la cattiveria non sta nei mezzi usati, ma nel cuore di chi li usa. E questo ci fa capire l’urgenza, ancora una volta, della formazione e della educazione di chi ha l’uso di quanto è in nostro possesso.

Qualcuno ha usato male i canali di comunicazione arrivando a rendere pubbliche delle chat che “impure” non erano? Ecco chi è il colpevole, non di certo chi ha dato fiducia ad una giovane speranza con la quale pensava – forse sbagliando – di poter collaborare. Di sicuro, la povera malcapitata, ci penserà bene la prossima volta.

Nel campo della guerra, coloro che credendo di essere “Dio” hanno la possibilità di infierire a livello informatico, se non guidati da principi sani, possono fare molto male, molto danno.

In entrambi i casi – è facile da comprendere – quello che conta è chi ha l’ultima parola, l’ultimo click, quello dell’invio, indispensabile per far partire un messaggio, una comunicazione, un ordine. Ma se sia necessario oppure no, se sia giusto – è qui il punto! – oppure no, solo una coscienza rettamente formata potrà comprenderlo.

E il dramma, oggi, è proprio questo: la mancanza di rettitudine di coscienza, di capacità di giudizio critico e della – oramai sparita – sana e vecchia prudenza.

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