L’epistemologo Caldarella: “regressione, confusione e arroganza caratterizzano la nostra epoca”

di Matteo Orlando

A COLLOQUIO CON IL SAGGISTA E FILOSOFO DELLA SCIENZA ITALO-AMERICANO SERGIO CALDARELLA: «POLITICAMENTE CORRETTO O “CANCEL CULTURE” SONO UN RITORNO, DALLA PORTA DI SERVIZIO, DELLA VECCHIA CENSURA E DELL’OSTRACISMO»

“I membri del personale sanitario che hanno provato ad esercitare il principio di precauzione, ispirato dal brocardo primum non nocere (per prima cosa, non nuocere), vengono sistematicamente radiati dagli ordini professionali di riferimento! Questo è un paradosso grave che la dice lunga sullo stato di decadenza della nostra epoca”.

A dirlo ad Informazione Cattolica è il professor Sergio Caldarella, saggista ed epistemologo italo-americano autore di testi di filosofia, sociologia ed epistemologia pubblicati in Italia e all’estero.

Tra i lavori più recenti pubblicati dal filosofo della scienza figurano il testo in lingua inglese “The Empty Campus. Education and Miseducation in the New Global Age” (2016) ed il volume “L’Ultima dea d’Occidente. Saggio sulla razionalità inesorabile” (2018).

Quali sono, a suo avviso, le “derive estreme” del nostro tempo?

A questa Sua domanda, con buona probabilità, molti invocherebbero una presunta «crisi», un tema particolarmente à la mode su cui si sono costruite non poche carriere accademiche. Questa sarebbe, però, tanto una solutio facilior, quanto un modo per evitare di rispondere accodandosi ai luoghi comuni offerti dalla consuetudine del discorso generalista. In realtà il problema qui è ben più complesso di una parola chiave o una formuletta ed arriva fino alle radici della socialità e, dunque, dell’essere umano stesso. La nostra epoca è contraddistinta da un numero di contraddizioni sempre crescenti le quali sono il prodotto di un fondamentale estraniamento esistenziale dell’individuo il quale finisce per non trovarsi più nella situazione di porsi di fronte al mondo entro una relazione diversa da quella offerta dalla ragione strumentale, ossia incapace persino di rendersi conto delle problematiche che lo schiacciano davvero e cercando rifugio in una serie di idola tribus, o di farmaci, con i quali pensa di trovare un rimedio o un palliativo all’angoscia. Aver interamente abdicato alla materia e ad un’altrettale concezione materialista della vita, oltre a sprofondare l’individuo nell’hic et nunc, con tutto quello che questo implica, significa anche farlo sentire abbandonato in un universo in cui domina solo il vuoto e l’assenza di qualsiasi disegno o, per dirla in maniera tecnica, un cosmo privo di alcuna teleologia. Mancando il fine cosmico è evidente che tramonti, poi, anche lo scopo nelle vite individuali ed emerge, qui, l’homo consumens di cui ci parla Erich Fromm o, come ho provato ad indicare in un libro del 2018 dal titolo L’Ultima dea d’Occidente, l’homo novus della modernità.

Il “Transumanesimo” rientra tra le derive del nostro tempo?

La vicenda del cosiddetto «transumanesimo», cui Lei fa riferimento, rientra certamente nel quadro delle grandi confusioni concettuali ed esistenziali e delle falsificazioni con le quali la volontà di potenza si trastulla insieme a tutte le altre grandi follie escogitate da quest’ennesimo «secol superbo e sciocco».

A suo giudizio cosa viene spacciato oggi come civiltà e, in realtà, opera una regressione culturale?

Beh, vede, nel momento in cui ci si crede i più bravi, i più intelligenti, i migliori di tutti gli altri, di ogni altro periodo storico, questo non può ben deporre a favore di un’epoca. Noi amiamo chiamare questo periodo come «epoca della conoscenza» (knowledge age), ma anche «dell’informazione» e, nell’ottobre del 2020, il presidente tedesco Steinmeier, riecheggiando a sua insaputa il noto Pangloss di Voltaire, ha bellamente dichiarato che la Germania del momento vive nel miglior periodo della sua storia: «Wir leben im besten Deutschland, das es jemals gegeben hat» Viviamo nella miglior Germania che sia mai esistita»). Un’affermazione tanto iperbolica quanto rivelatoria dello stato di grave regressione, confusione e arroganza della nostra epoca. Per giustificare quest’ideologia si è persino arrivati a coniare il termine di «golden age syndrome» (sindrome dell’età dell’oro) per denigrare chiunque faccia riferimento ad un passato che possa dirsi in alcun modo migliore o più razionale rispetto al presente. Eppure la storia è lì davanti ai nostri occhi, oppure dobbiamo lasciarci annegare nel marasma dell’arroganza, della superficialità e della presunzione di credersi migliori di ogni altra epoca solo perché coloro che ci hanno preceduto non ci sono più e noi ci siamo ancora?

Come possiamo comprendere, dal punto di vista specificamente filosofico, il presente?

Il presente si comprende alla luce del passato, dunque un’epoca la quale relega la storia alla dimensione dell’errore – «gli antichi non capivano, noi capiamo meglio, sappiamo meglio, etc.» – ed alla mera catilinaria di nozionismi scolastici, sta anche perdendo una fondamentale chiave di comprensione di se stessa e dei suoi propri pregiudizi ed abbagli. La funzione del discorso culturale dovrebbe anche essere quella di evidenziare questo problema ed indicare, nel passato, quelle soluzioni che potrebbero aiutare il presente ad evitare mali quali il ritorno delle disuguaglianze, le guerre e gli altri deliri che appartengono ad una certa mentalità che gli antichi chiamavano anche tracotanza (hybris), ma nel momento in cui la cultura viene trasformata in «industria culturale», come ben spiegano Adorno e la Scuola di Francoforte, questa abdica ad un fondamentale ruolo critico e didattico per diventare mera ancella di narrazioni dominanti le quali, alla fine, hanno sempre scopi e indirizzi politici.

Lei afferma nei suoi libri che esisterebbe un disperato bisogno, nella nostra epoca, di un ritorno ai saperi autentici e razionalmente validi. A cosa si riferisce in particolare?

Pensiamo, quale maestoso esempio, all’immenso patrimonio culturale che ci è stato donato dalla cultura greca e non parlo soltanto, come potrebbe venire subito in mente, della sola filosofia, già di per sé uno straordinario conseguimento di quella meravigliosa civiltà, ma anche della dimostrazione matematica, delle arti, la tragedia, la commedia, la poesia giambica, le scienze applicative, il mito e moltissimo altro ancora. Cosa ne facciamo noi invece di tutto questo? La nostra epoca è arrivata all’ardire di dichiarare che Platone sarebbe un «nemico» di una presunta «società aperta» (Popper) e questa plateale sciocchezza viene continuamente ripetuta al punto da essere ormai acriticamente accettata. Faccio l’esempio dei Greci perché questo è il più alto punto mai raggiunto dalla civiltà occidentale – altro concetto infamato ed attaccato identificando questa cultura con alcune delle derive estreme provenienti dalle sue classi dominanti. Eppure la democrazia, la libertà di parola, il concetto stesso di individuo e persino l’amore romantico sono concetti che sorgono tutti da questa tanto bistrattata cultura occidentale. Alla luce di questi accenni si può intuire che i saperi da riscoprire sono quelli fondati sui tre grandi ideali della paidéia greca, ossia tutte quelle teoresi e discorsi il cui oggetto o fine sono il Buono, il Vero ed il Bello. L’assenza di queste direzioni etico-intellettuali produce saperi vuoti, asettici, slegati dalla vita e, dunque, ferali. J. Robert Oppenheimer, il responsabile del progetto Manhattan con cui venne creata l’arma nucleare, di fronte alla prima esplosione atomica nel deserto di Alamogordo, in Nuovo Messico, dirà, modificando un verso della Bhagavadgītā: «Now I am become Death, the destroyer of worlds» («Adesso sono diventato Morte, il distruttore di mondi»). 

Ci fa un esempio di sapere da riscoprire e diffondere?

Un esempio lampante lo si ha nello strabiliante declino dell’ars medica: se da una parte vi sono marchingegni, strumenti di analisi e di terapia, dall’altra tutto viene ridotto ad una serie di protocolli mancando, ossia, proprio quella sintesi fondamentale demandata alla scienza e coscienza del medico. Il sostantivo greco ἰατρός (īātrós) può essere sì tradotto con «medico» ma, letteralmente, significa «colui che guarisce» mentre, a partire dal 2020, i membri del personale sanitario che hanno provato ad esercitare il principio di precauzione, ispirato dal brocardo ippocrateo mē blaptein, tradotto in latino con primum non nocere (“per prima cosa, non nuocere“), vengono sistematicamente radiati dagli ordini professionali di riferimento! Questo è un paradosso grave che la dice lunga sullo stato di decadenza della nostra epoca.

“Politicamente corretto”, “Cancel Culture” e ideologia “Woke”: gli Stati Uniti non ci fanno mancare proprio nulla… Ci parla di queste tre forme di ipocrisia (e sottocultura) della nostra epoca?

Ecco, con questa sua domanda Lei giunge proprio a quelle teoresi e discorsi il cui fine non è nei grandi ideali della paidéia prima citati ma nel loro contrario. Proprio nel 2005 ho pubblicato un libro il cui titolo è, per l’appunto, La Società del Contrario. Su questo punto bisognerebbe forse chiedersi: cosa sono queste etichette di «politicamente corretto» o «cancel culture» se non un ritorno, dalla porta di servizio, della vecchia censura e dell’ostracismo? Non è forse un tratto peculiare dell’intolleranza quello di pretendere se stessa come il massimo della liberalità o dell’illuminazione? Quando qualcuno ha l’ardire di invocare il livellamento orwelliano del linguaggio o la solita censura oscurantista possiamo forse dire che questi sono i segnali di una cosiddetta «società aperta»? A questo punto, se è questa la tanto decantata «società aperta» che avevano in mente i suoi apologeti, allora si capisce benissimo perché gli stessi vedono in Platone un nemico di quest’oscurità ammantata di nulla. Vede come anche in un discorso di poche parole emerge l’importanza del ritorno a quei temi e ragionamenti profondi e lucidi che, se ascoltati, sanno dissolvere la caligine di discorsi che non hanno sostanza intellettuale e si presentano, invece, come segni di un pericoloso regresso culturale e democratico?

Alcuni Paesi sembrano essersi accorti, almeno al livello giuridico, della gravità dell’aborto mentre non ancora abbastanza dei problemi etici prospettati dalle pratiche eutanasiche. Quali sono a suo avviso le prospettive in merito al futuro di questi due temi etici fondamentali?

Sul tema dell’aborto e su come questo serissimo problema sia stato manipolato attraverso la comunicazione mediatica e gruppi di controllo particolari in America rimando all’eccellente libro di Sue Ellen Browder dal titolo “Subverted”. Un lavoro straordinario ed interessantissimo per capire come l’opinione pubblica venga manipolata attraverso gruppi d’interesse di vertice. L’autrice è stata una giornalista per la rivista Cosmopolitan, uno degli epicentri dell’industria culturale, proprio nel periodo in cui veniva approvata la legislazione sull’aborto in America ed è passata attraverso un serio esame di coscienza del quale riporta le tappe in questo libro. C’è da sperare che qualche editore italiano che vuol ancora fare cultura lo traduca.

Dagli Stati Uniti, da tempo, è partito l’input per la legalizzazione delle droghe falsamente chiamate leggere. Che pensa in merito?

Trovo già problematica la distinzione tra droghe dette «leggere» o «pesanti» anche se non ritengo che la soluzione al problema della tossicodipendenza possa esser giuridica. I troppi poveretti che cascano sotto le influenze delle sostanze psicotrope sono, in primo luogo, vittime di una società che non sa più offrire alcunché da un nichilismo materialista che uccide l’esistenza nella vita ed è questo vuoto il punto su cui bisognerebbe concentrarsi – molto utile, in merito, il libro di Viktor Frankl “Alla ricerca di un significato della vita”. Sa, per anni uno dei miei più cari amici, diciamo pure un fratello, è stato padre Arcangelo Rigazzi, venuto purtroppo a mancare nel 2012, un uomo buonissimo, un vero cristiano che dirigeva, tra le tante attività, anche una comunità di recupero dalle tossicodipendenze salvando moltissime vite. All’epoca vivevo ancora in Italia e, collaborando nell’attività di volontariato con questo grandissimo sacerdote, insieme all’aiuto diretto, provavo ad offrire dei discorsi e delle prospettive che potessero rappresentare un’alternativa al vuoto esistenziale ed alla solitudine che avevano portato quegli sfortunati sulla strada dell’oblio e della morte travestita dal piacere chimico delle droghe. L’essere umano ha bisogno di sentire il profumo del senso della vita.

Lei ha definito quello che abbiamo vissuto in questi ultimi due anni come “Pan-Demenza”. Ci spiega in che senso?

Sulla vicenda della «pandemenza» potremmo prendere spunto dal libro “Beffe e Beffatori in nome di una crisi. Il Coronavirus e l’epoca della conoscenza: un modesto contributo al dibattito democratico“, che ho scritto appunto tra il 2020 ed il 2021. Provo quindi a rispondere alla Sua domanda riportando un estratto dalla Premessa del volume: «Il limite della dialettica democratica dovrebbe risiedere nel fatto che coloro i quali controllano un Paese non possono distruggere la vita di tutti (principio di precauzione), poiché, a partire da questo punto, si passa a regimi di altro tipo. La dialettica democratica dovrebbe contenere, se non impedire, gli arbitri di coloro che detengono il potere, altrimenti non è dialettica e non è neppure democratica».

Cosa fare dunque per cercare di invertire la rotta in un mondo che sembra perdere il senno?

Provare a raccontare uno dei lati razionali possibili di questa vicenda è anche un modo per tenersi saldi al senno quando il mondo lo smarrisce ancora una volta. Se vogliamo, poi, la pandemenza è anche un momento storico – non di certo l’unico – in cui l’evidenza logica, come annunciato da Theodor Adorno, tramonta e trionfa la narrazione mediatica con cui si trasforma il mondo in una rappresentazione di gruppo o di censo, eliminando la complessità del discorso a favore, nel caso specifico, di una ipersemplificazione del concetto di salute. Anche in questo caso la lettura dei buoni libri di un tempo ci avrebbe molto aiutato a capire che, dietro mirabolanti racconti e violazioni costituzionali impensabili ed intollerabili, potrebbero anche esservi degli intenti politici il cui fine è proprio la neutralizzazione di quei diritti e non la salvezza del popolo – su questo punto sarebbe anche interessante poter trovare un esempio storico, basterebbe uno, in cui le varie oligarchie abbiano avuto talmente a cuore la vita dei loro sudditi e sottoposti da rinunciare a guerre di conquista oppure a dei loro privilegi a favore del benessere comune. Sarebbe davvero una bella scoperta. Insomma, se ricordassimo ancora quelle belle ore trascorse in compagnia delle pagine di Giuseppe Giusti, Carlo Collodi o Trilussa, sapremmo ancor’oggi intravedere, nel sorriso malizioso di certi personaggi televisivi o di politicanti assisi con muso duro sui loro scranni, il vecchio ghigno ingannevole del Gatto e la Volpe.

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