Il viaggio nella maternità è una continua scoperta

di Lodovica Cima*

SOLO DOPO ANNI HO COMPRESO FINO IN FONDO I CAMBIAMENTI IRREVERSIBILI CHE SI SONO CONSOLIDATI PIAN PIANO DENTRO DI ME

Il viaggio nella maternità è stato per me una continua scoperta, un susseguirsi di tuffi in un flusso di energia nuova che non sembrava proprio appartenermi, ma che invece mi ha insegnato a mettermi in ascolto di me stessa e della nuova persona che ho portato con me e che ho dato alla luce. Solo dopo anni ho compreso fino in fondo i cambiamenti irreversibili che si sono consolidati pian piano dentro di me. In principio l’idea di maternità riempiva l’idea di futuro che avevo: la mia famiglia numerosa, allegra, coinvolgente mi ha trasmesso automaticamente il modello di madre attorniata da tanti figli. Poi, quando è arrivato il momento di averli veramente, lo sguardo sul mondo così complicato e incerto ha smorzato gli entusiasmi. A un certo punto però il bambino è arrivato.

Il calcio di inizio per una nuova esistenza.

Ricordo perfettamente l’eccitazione mista a paura per la notizia. Lieta sì, ma così grande da far tremare. Da quel momento l’altalena di momenti felici e momenti di incertezza non ha mai smesso di dondolare. La gravidanza, dapprima invisibile, ma fortemente presente, è stato un momento importante per imparare a mettersi in ascolto. Gli impercettibili cambiamenti fisici, l’umore variabile, e poi man mano che si procedeva la trasformazione completa del corpo. Un bell’esercizio di stupore e timore, di paura e fiducia. Ci si ritrova a non poter controllare qualcosa che fino a poco tempo prima era una casa ben abitata. Poi il bambino si fa sentire e molti timori svaniscono. Si ha una creatura con cui parlare, sognare, confrontarsi.

In tutto questo balletto di emozioni si riconquistano i tempi umani e animali, nel senso più nobile del termine. Si ha un atteggiamento nuovo nei confronti del passare dei giorni: quello di mettersi a disposizione della natura, non più tentare di addomesticare un corpo, ma seguirlo nella sua evoluzione. Il tempo lento della natura è importantissimo e io prima di diventare madre ne avevo un po’ perso la percezione. Diventa evidente quanto sia inutile accelerare troppo, bruciare tappe e correre, sempre in affanno. La natura fa il suo corso compiendo cose meravigliose e senza fretta. Così ho recuperato gradualmente la calma e lo spazio mentale per pensare e ascoltare il mondo dentro e fuori. Un risultato impagabile che ancora oggi mi è utile.

La fase della scelta del nome, poi, è stata il punto di svolta per cominciare a immaginare la persona che stava crescendo dentro di me. Pensare a darle un nome, esplorare con cura tante possibilità e poi ripeterlo ogni giorno ha dato concretezza a quel momento. La fase delle chiacchiere con la creatura che si muove e alla sua maniera risponde è un nuovo incredibile modo di prepararsi a vederla, dura qualche mese e offre il tempo giusto per prepararsi al parto. Vivere in simbiosi con il proprio bambino ora per ora, significa instaurare un rapporto fortissimo che va mantenuto in seguito. Anzi, direi che si trasforma, ma resta sempre con quell’intensità ingovernabile che a volte spaventa. È la certezza che nulla sarà più come prima.

Quando la data del parto si avvicina, le chiacchiere delle altre mamme, le disavventure di molte in sala parto, le notizie di parti poco felici, sono come piccoli mattoni che ricostruiscono la paura. Ci si sente spaventate e forse troppo presuntuose a pensare che per noi andrà tutto bene. Per fortuna quando il momento arriva davvero non c’è più tempo per pensare ai racconti delle altre e ci si concentra su di sé, sul dolore e sulle risorse da spendere per uscirne al più presto.

Ricordo perfettamente il momento in cui, in sala parto per il primo figlio, ho pensato che non avevo più energie ed ero arrivata al livello massimo di sopportazione del dolore. È stato quello l’attimo in cui mio figlio è nato. Mi ha portato sul bordo del baratro per poi salvarmi all’ultimo istante. Alla vista di mio figlio mi sono dimenticata di gran parte della sofferenza. La gioia ti ripaga in maniera così satura che tutto il resto passa in secondo piano.

Una volta a casa è un’altra storia. Si provano sensazioni nuove: la fatica fisica delle notti insonni, il pianto che penetra fin nelle viscere e ti perseguita, la sensazione di non comprendere ciò di cui il bambino ha bisogno. Il rischio di farsi travolgere è alto, ma per fortuna i momenti di gioia cancellano quasi tutta la negatività o ricolmano di energia. Così comincia la scoperta di questa persona nuova che ha il suo modo di comunicare e le sue abitudini. Io parlavo tantissimo con i miei figli neonati e sono sicura che non si trattava di monologhi. Le giornate scorrevano con tempi più lenti, le priorità erano chiare e ogni tanto sì, arrivava il senso di solitudine. Mi sentivo come tagliata fuori dalla vita del mondo, poi però tornavo a pensare a quanto ero fortunata e la negatività si abbassava.

Ricordo con estrema chiarezza il senso di appagamento totale nel vedere dormire i miei figli neonati, le piccole gioie inaspettate, i progressi anche minimi, un cammino continuo. La mia vita professionale è sempre stata lì, magari riposta nei ritagli di tempo nei primi mesi, ma non si è mai spenta. Poi pian piano ho dovuto trovare l’equilibrio, delicatissimo tra la cura dei figli, la famiglia e il lavoro. Ora posso dire che sono arrivata al punto in cui i miei figli vivono in autonomia e tornano da me con quell’intimità così solida che, sono sicura, è nata proprio all’inizio della loro vita, quando eravamo soli, e io parlavo parlavo… qualcuno ascoltava.

* Prefazione al libro di Brian Vanzo
Il grembo e la mente
(Edizioni San Paolo 2022, 239 pagine, euro 20)

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