Guerra in Ucraina verso l’epilogo?

di Pietro Licciardi

ZELENSKY HA PERSO L’OCCASIONE PER USCIRE DAL CONFLITTO CON ONORE E ADESSO KIEV STA PER PERDERE TUTTO QUANTO 

Come avevamo previsto e come la situazione militare sul campo sta dimostrando l’Ucraina sta perdendo una guerra che molto difficilmente poteva vincere. Ad oggi, per stessa ammissione dello stato maggiore di Kiev l’esercito ha perso circa il 50% dei suoi effettivi e le forniture militari promesse dalla Nato arrivano col contagocce e non riescono a rimpiazzare neppure le perdite, figuriamoci a costituire una riserva strategica con la quale organizzare una controffensiva capace di almeno arrestare l’avanzata lenta ma metodica dei russi.

Ad oggi tutto quello che gli ucraini riescono a fare è buttare subito nella mischia quelle poche decine di carri armati e cannoni che arrivano dalla Polonia e dagli altri arsenali Nato per piccole controffensive locali che riescono a conquistare un po’ di terreno e qualche villaggio che perdono dopo poco tempo.

Anche la riserva di uomini è in crisi. Dai filmati diffusi dai russi che mostrano i prigionieri ucraini si deduce che ormai a combattere sono le truppe territoriali e i riservisti mentre ha fatto il giro delle Tv l’intervista al giovanissimo ufficiale appena uscito dall’accademia che ha candidamente ammesso di aver mentito sulla sua età se voleva essere obbedito dai suoi uomini. Ciò significa che la gran parte dei comandanti sul campo è stata uccisa o ferita, assieme alla maggior parte dei soldati professionisti e questo ha una conseguenza sulla capacità combattiva delle truppe. Tutto ciò mentre i russi a settembre potranno disporre di almeno duecentomila riservisti che stanno completando il loro addestramento.

Purtroppo il presidente Zelensky, che sembra essere teleguidato, come del resto un po’ tutta l’Ucraina, dagli oligarchi di casa sua e dalla cricca democratica alla Casa Bianca, ha perso la sua unica occasione per uscire vantaggiosamente da questa sciagurata guerra. Egli infatti, fallito il tentativo iniziale russo di prendere Kiev e di invadere il Paese anche da nord, anziché impiegare tutte le sue risorse militari in una controffensiva e chiedere a Putin di trattare da una posizione di forza sfruttando l’evidente crisi dell’esercito di Mosca, ha preferito avventurarsi in improbabili proclami di vittoria e di riconquista tagliandosi politicamente le gambe. 

Adesso infatti, con un quarto dell’Ucraina in mano russa – tra cui la parte più industrializzata e ricca – l’accesso alla vitale via marittima precluso e l’eventualità sempre più probabile di un arretramento del fronte fino al fiume Dniepr il presidente ucraino è costretto a combattere a oltranza se non vuole essere appeso a testa in giù dai suoi compatrioti mentre Putin, le cui truppe stanno avanzando, ormai non ha alcun interesse a sedersi al tavolo. Tanto più che si sta avvicinando l’autunno, con un Occidente che dovrà vedersela con la crisi energetica – in Europa si sta già attingendo alle riserve – ed economica che farà molto più male a noi che ai russi; senza contare che l’invio di armi e munizioni, consumate a ritmo vertiginoso, non potranno che diminuire, considerato il fatto che i depositi Nato si sono quasi svuotati.

Chi scrive è sempre più convinto che quella tra Russia e Ucraina sia una sporca guerra in cui è molto difficile stabilire chi siano i “buoni” e chi i “cattivi”. Putin è certo un aggressore imperialista ma Zelensky è un nano politico che dopo essersi fatto strumentalizzare ed essere rimasto col cerino in mano sta conducendo il suo paese alla rovina. Intanto assistiamo ad un conflitto fratricida combattuto tra europei, profondamente cristiani, che scaverà un solco incolmabile tra due popoli quasi fratelli e tra l’Europa e la Russia, il secondo polmone del continente, secondo la visione di san Giovanni Paolo II. 

Mentre assistiamo al luciferino precipitare del mondo verso una crisi dagli esiti incerti ancora una volta tornano alla mente le parole di papa Pio XII nel radiomessaggio del Il 24 agosto 1939: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Tuttavia restiamo fermi nell’idea che più la crisi diventa grave, più le persone apriranno gli occhi e sapranno ritrovare la via della ragione e della salvezza. Ricordiamoci dei camionisti canadesi.

 

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