Gesù e il diritto: il concetto di legge dal vecchio al nuovo Testamento

di Pietro Madeo

CON L’AVVENTO DEL NUOVO TESTAMENTO SI AVVIA UN PROCESSO DI DISTACCO E DI SCISSIONE CHE ANDRÀ VIA VIA DELINEANDO UNA VERA E PROPRIA OPPOSIZIONE TRA LA LEGGE, DA UN LATO, E LA FEDE E LA GRAZIA, DALL’ALTRO

Se nell’Antico Testamento vi era, possiamo dire, concomitanza tra legge e fede, vediamo, invece, come col tempo e con l’avvento del Nuovo Testamento si avvia un processo di distacco e di scissione che andrà via via delineando una vera e propria opposizione tra la Legge, da un lato, e la fede e la grazia, dall’altro.

Il termine ebraico che noi traduciamo con Legge, Torah, significa originalmente insegnamento e designa la tradizione legale tramandata dai Leviti e dai sacerdoti presso i santuari e verosimilmente mediante la consultazione di oracoli. A differenza della parola profetica, dal carattere improvviso e occasionale, le singole leggi erano considerate universalmente ed eternamente valide. Presto esse sono messe per iscritto ed incorporate nel Pentateuco.

Con il ritrovamento e la lettura pubblica del “Libro della Legge” avviene, però, una profonda trasformazione: essa diventa libro, testo scritto solennemente promulgato con lettura pubblica. Da allora il “Libro della Legge” comincia a sostituire il Tempio come simbolo della presenza di Dio. Con Esdra il processo è compiuto, la legge è letta di fronte al popolo e da allora si identifica con l’intero Pentateuco.

Anche al tempo di Gesù e fino ad oggi, per gli Israeliti, “Legge” o Torah è la designazione dei primi cinque libri della Bibbia. Con Esdra, accanto al sacerdote, appare così la figura dello scriba, cioè “l’uomo del libro”, l’interprete delle prescrizioni divine rivelate una volta per tutte. La Legge finisce così per essere considerata una collezione di comandamenti. La vita religiosa diventa, così, sempre di più osservanza, spesso esteriore, dei comandamenti e si ritiene che la salvezza sia il risultato della loro osservanza. In termini tecnici si designa questo come salvezza per le opere della legge.

In ogni caso va osservato che i Salmi non percepiscono la Legge come un giogo o un fardello, ma come “un diletto” oggetto di pia ed estatica meditazione, come una luce sul sentiero, come “canto dell’anima”, come desiderata sapienza della vita. Questa valutazione della Legge come strumento di comunione con Dio si ritrova negli scritti sapienziali deuterocanonici. Ma tenendo presenti questi aspetti molto vivi della religione della legge, si riuscirà a capire la polemica che il Nuovo Testamento rivolge alla Legge, opponendola così alla fede ed alla grazia. Nell’originale concezione biblica, la Legge non si oppone alla grazia, ma ne è espressione. In questo i concetti più profondi del Nuovo Testamento sono prefigurati e preannunciati nell’Antico.

 

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