L’obiezione di coscienza medica è un diritto di serie B?

di Don Gian Maria Comolli

L’OBIEZIONE DI COSCIENZA DEL MEDICO, DEL FARMACISTA E DELL’OPERATORE SANITARIO NON È UN BENEFICIO CONCESSO DALLO STATO MA UN DIRITTO FONDAMENTALE DELLA PERSONA UMANA

Spesso dobbiamo ascoltare opinioni che si scagliano contro l’obiezione di coscienza, soprattutto nei confronti degli operatori sanitari non abortisti, dimenticando che quando una legge è incompatibile con il bene comune, i principi etici, i diritti fondamentali della persona e le convinzioni religiose e morali del singolo, non obbliga in coscienza esorbitando queste dal potere dello Stato. In tali casi, quindi, è doveroso porre in atto l’obiezione di coscienza.

Chi ricorre legittimamente all’obiezione di coscienza, ricorda san Giovanni Paolo II, dovrebbe oltretutto essere salvaguardato «non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale» (enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 74).

L’obiezione di coscienza non costituisce quindi, come alcuni ritengono, una benevola concessione dello Stato, bensì è “un diritto” che distingue le Nazioni democratiche dai Paesi governati dalle dittature o dai totalitarismi. Concetto sostenuto anche da Papa Francesco quando afferma che l’obiezione di coscienza «è un diritto, e se a una persona non si permette di esercitare l’obiezione di coscienza, si nega un diritto, un diritto umano» (27 settembre 2015).

Anche vari documenti internazionali e nazionali hanno messo in evidenza il valore di questo diritto: dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (artt.1-3 e 19) al “Patto Internazionali Sui Diritti Civili e Politici” (1966), dal Comitato Nazionale per la Bioetica con il parere del 24 ottobre 2008 al Codice di Deontologia Medica (art. 22).

Nel settore sanitario quattro sono attualmente i settori interessati all’obiezione di coscienza:

Solo in due di questi settori, però, è autorizzata l’obiezione di coscienza, in materia di aborto procurato (v. legge n. 194/1978, art. 9) e di fecondazione artificiale (v. legge n. 40/2004, art. 16). Tale fondamentale diritto è invece assente nell’ambito della normativa sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e delle pillole abortive, essendo il giudizio su questi “farmaci” alquanto divergente riferendosi all’inizio della vita umana, cioè quando l’embrione è persona.

In quest’ultimo caso stiamo parlando di una questione di enorme portata sociale perché, stando solo ai dati del 2020, sono state vendute senza possibilità di opporsi circa 556.000 confezioni di Norlevo ed ellaOne (dati Ministero della Salute). Eppure il 25 febbraio 2011 il Comitato Nazionale per la Bioetica si pronunciò favorevolmente all’obiezione di coscienza dei farmacisti, invitando il legislatore ad approvare celermente una legge in merito. Finora, però, nulla è stato fatto.

Volendo approfondire l’argomento, notiamo che questo “diritto” è già presente nei Codici Deontologici anche se non previsto dalle normative vigenti. Basterebbe allora solo attuarlo!

Per i medici di pronto soccorso e per i ginecologi, il Codice di Deontologia Medica afferma all’articolo 12 che il medico «non è obbligato» a prescrivere un farmaco in contrasto con la propria coscienza morale e professionale. Ciò significa che una struttura sanitaria deve garantire l’erogazione di farmaci legali, ma il medico deve avere la possibilità di prescriverli unicamente se in accordo con i suoi valori di riferimento, la sua indipendenza di giudizio e formazione etico-scientifica.

Anche il Codice Deontologico dei Farmacisti all’articolo 3 stabilisce il diritto di agire «in piena autonomia e coscienza professionale, conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti non solo i diritti del malato ma anche il rispetto della vita».

Gli strumenti, quindi, ci sono, ma vanno conosciuti e, soprattutto, riconosciuti a livello di diritto positivo. I nuovi governanti avranno il coraggio renderli operativi?

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