Maria e la devozione a lei rivolta diventano un’esperienza di vita
di Angelica La Rosa
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SUOR NAIKE MONIQUE BORGO, ORSOLINA DEL SACRO CUORE DI MARIA, PROPONE UN MODO DIVERSO DI INCONTRARE LA MADRE DI DIO, MA ATTUALE E SENZA PERDERE LA RICCHEZZA DELLA TRADIZIONE
La Vergine Maria e la devozione a Lei rivolta diventano nel libro di suor Naike Monique Borgo, Orsolina del Sacro Cuore di Maria, “La grammatica di Maria“ (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pp. 140, euro 14) un’esperienza di vita proposta a chi voglia incontrare la Madre di Dio in maniera diversa, attuale, senza perdere però la ricchezza della Tradizione.
Nella scansione dei vari capitoli, l’autrice (che si occupa di comunicazione per la diocesi di Vicenza e collabora con varie testate locali e nazionali, tra le quali Radio Oreb) propone una serie di meditazioni, ciascuna su un brano evangelico che vede protagonista la madre di Gesù, declinando poi il tutto in un racconto attualizzante, tratto dalle sue esperienze di vita vissuta, e infine trasformandolo in una provocazione rivolta al lettore, affinché a partire dal culto a Maria ciascuno ritrovi un suo personale sguardo interiore, una vera e propria “grammatica” dell’esistere a partire da ciò che Maria ci offre nella sua vita.
Il libro è arricchito da alcune immagini che suor Naike utilizza nei suoi incontri e suggerisce al lettore per una catechesi anche visuale e non solo verbale. La grammatica di Maria è il suo primo libro, nel quale unisce le sue due vocazioni: quella di religiosa e quella di comunicatrice.
«Nel programma pedagogico dell’antica Roma, e poi della civiltà Medievale – scrive nella Prefazione Chiara Giaccardi -, la grammatica svolgeva un ruolo fondamentale: la prima delle scienze umanistiche, il pilastro che sostiene tutto l’edificio del sapere. E qual è l’essenza più profonda, lo spirito autentico della grammatica ce lo suggeriscono le raffigurazioni pittoriche che la presentano in forma allegorica. Come il dipinto di Laurent de La Hyre, Allegory of grammar, che risale alla metà del 1600: una donna dall’aria dolce e soave con una mano annaffia delle piantine non proprio rigogliose (si prende cura, dà loro vita) e con l’altra regge un nastro sul quale campeggia una scritta eloquente: vox literata et articulata debito modo pronunciata (Una voce coltivata e articolata, pronunciata in modo appropriato). La grammatica nutre le menti, ci consente di comunicare (il nastro che ci lega), di coltivare il nostro modo di esprimerci e metterci in relazione con il mondo e gli altri. La grammatica alimenta la nostra intelligenza e il nostro cuore insieme, la mente e l’arte della relazione. Anche nelle altre raffigurazioni più famose, come quelle di Andrea Bonaiuti o Gentile da Fabriano, la grammatica è donna, e si prende cura dei più giovani attraverso la relazione e la sapienza, ricevuta e poi trasmessa. La grammatica unisce: mente e cuore, pensiero e parola, passato e futuro attraverso le generazioni. È l’arte di congiungere, trasformando i frammenti in unità, le potenzialità in realtà. Ci consente una intelligenza del mondo e di noi stessi, e una capacità di esprimerla in modo appropriato. Fornisce una serie di regole che però non sono gabbie, bensì matrici di possibilità, supporti e stimoli per la creatività. Nella sua Grammatica della fantasia Gianni Rodari parlava delle “leggi dell’invenzione”: un ossimoro solo apparente, un paradosso vitale (perché la vita umana è paradossale, come scriveva Romano Guardini). Tradizione e novità, umiltà e audacia, obbedienza e iniziativa cessano di farsi la guerra per diventare feconde compagne di viaggio. Così la libertà non si esprime nella cancellazione dei vincoli, ma nella capacità di trasfigurarli, rendendoli finestre sull’infinito. Mentre la logica divide e classifica, la grammatica unisce, tesse, cuce. Ci aiuta a cogliere i legami non immediatamente evidenti, le risonanze, le analogie. In un mondo che sempre più scompone, separa e frammenta, e dove prevale la logica della contrapposizione e dell’esclusione, la grammatica è l’arte dell’accoglienza e dell’abbraccio, dei ponti gettati tra i frammenti».
«Chi meglio di Maria può allora esserci compagna e maestra? – continua la sociologa, che collabora al quotidiano cattolico Avvenire – Figura della relazione per eccellenza, dell’articolazione tra il cielo e la terra, tra obbedienza e libertà. Figura del passaggio tra le generazioni, come madre di tutti i viventi. Maria è il filo della storia della salvezza. «La felicità è avere un filo a cui appendere le cose. Filo che, immerso nel tesoro di un’onda, tornerebbe alla superficie ricoperto di perle», scriveva Virginia Woolf. Abbiamo un bisogno disperato di questo filo oggi, o le nostre perle si disperdono; e la grammatica di Maria ci è d’aiuto per ritessere un mondo – e di conseguenza le nostre vite – fatto di frammenti sempre più disconnessi. Quella di Maria, prima di tutto, è una grammatica della connessione. La vediamo nel racconto della visitazione, festa del legame indissolubile dei generi, delle generazioni, della storia ordinaria e di quella straordinaria, dell’umano e del divino, della quotidianità e dell’eternità. Ma è anche una grammatica del paradosso. Maria ci aiuta, con il suo intero vivere e non solo con le sue parole, ad abitare con fecondità la tensione tra vitalità e forme sociali, umiltà e audacia, legge e pienezza traboccante. Dove la legge non è estrinseca e rispettata solo per paura, ma diventa un vincolo benefico, una forza trasformatrice, il canovaccio rigoroso per una pienezza senza limiti. Anche perché è la legge dell’amore, cioè della vita piena. E infatti Maria ci consegna una grammatica dell’eccedenza: quel “di più” che è la buona notizia da portare a tutti».
Il definitiva, conclude la prof.ssa Giaccardi, nella vita della Madre di Dio «la grammatica dell’ordinario viene sconvolta dall’irruzione dello straordinario, che trasfigura la quotidianità e la rende immensa. È il vino delle nozze di Cana, dove Maria vede, comprende, anticipa ciò che può regalare ancora più bellezza di quella che già c’è. In questo episodio Maria è un medium, uno snodo tra gli invitati e Gesù, e poi tra Gesù e i servitori. La sua intelligenza, nel senso più profondo, la rende mediatrice di più vita per tutti. È uno sguardo non analitico il suo (ana-luo vuol dire sciolgo, separo). Uno sguardo radicato nella postura della cura (dal sanscrito kau, che significa vedere). La cura cuce ciò che è strappato e trasforma il vincolo in sguardo nuovo».