Perché si vuole negare la sepoltura ai bambini abortiti?

di don Antonello Iapicca

ABORTO, L’UNICA QUESTIONE FONDAMENTALE

Appare oggi ineludibile un confronto serio sull’aborto, a partire dalla questione della sepoltura dei feti abortiti, per giungere all’abolizione della legge 194/78. Non è una semplice querelle elettorale. Segna invece il confine antropologico sul quale è doveroso, oltre che onesto e giusto esprimere il proprio pensiero, e le proprie scelte.

Perché si vuole negare la sepoltura ai bambini abortiti? Perché essa costituirebbe un attacco alla libertà delle donne? Quale visione della persona e della vita si nasconde dietro a queste posizioni? Non entriamo in polemiche surrettizie sulla fede cristiana e sulla presunta volontà di imporre la propria visione nelle leggi dello Stato.

In Giappone ad esempio, Paese laico che della religione e cultura cristiana non ha tradizione ed eredità politica alcune, la sepoltura dei bambini abortiti è permessa (come lo è in Italia). Mentre nei templi si trovano statuette di bambini che i genitori hanno voluto come memoria dei figli abortiti, e anche come un balbettato rimorso.

“A molte mamme non viene proposto di vedere, abbracciare il bambino morto in grembo, nonostante questa potrebbe essere considerata, secondo ricerche internazionali, una buona pratica per una sana elaborazione del lutto. Nessuno dice loro che se lo desiderano, possono seppellirlo, anche a poche settimane di gestazione. Così, non di rado, per alcune donne e famiglie che perdono un figlio così piccino, il lutto senza aver salutato un corpo rappresenta non solo un dolore atroce, ma anche un’emorragia inarrestabile” (La Repubblica, “La battaglia di Claudia: “Aiuto le mamme che come me hanno perso un bimbo in utero e sono state lasciate sole”).

Sono parole di Claudia Ravaldi, medica psichiatra e psicoterapeuta che, dopo aver perduto un bimbo nel proprio grembo, con il marito Alfredo Vannacci, hanno fondato CiaoLapo, un’associazione non lucrativa apartitica e aconfessionale rivolta a operatori sanitari di area materno fetale, alle donne e ai loro partner colpiti da lutto perinatale durante la gravidanza o dopo la nascita, per qualunque motivo. Compresa l’interruzione di gravidanza per patologia, materna o fetale.

Vi invito a leggere l’articolo, perché le riflessioni in esso contenuto devono essere messe al centro di un ormai ineludibile confronto sull’aborto. Cosa lo impedisce? L’ideologia. Quella secondo la quale ciò che conferisce lo status di figlio e persona è la volontà della madre, il suo desiderio o il suo rifiuto. Se una gravidanza è desiderata il feto è una persona, e, se muore, ha diritto alla sepoltura. Se la gravidanza è indesiderata il feto è un grumo di cellule che può essere eliminato e gettato tra i rifiuti organici dell’ospedale. La solo apparente schizofrenia, che purtroppo ha attecchito nei cuori e nelle menti sino a diventare pensiero e abito, rivela la follia ideologica che ha come bersaglio madre e figlio.

Da questo occorre partire per rimettere al centro della società e della storia la persona e la vita. Economia, energia e riscaldamento, guerra e pace, scuola e lavoro, tutto dipende da quale sguardo si ha sulla persona e la vita, su una madre e sul bambino che porta in grembo. Per caso ha diritto ad essere aiutata e accompagnata solo quando lo desidera? Basta non desiderare un figlio per non portare la ferita dell’aborto per tutta la vita, senza che qualcuno si chini su di lei? E il figlio, è persona e ha diritto alla sepoltura solo se muore naturalmente in una gravidanza voluta? Il suo valore, la sua dignità, il suo essere persona dipendono solo dalla volontà della madre? La madre è dunque un dio che ha potere di vita e di morte, di conferire dignità o no a suo figlio?

Ma questa è roba che neppure le peggiori dittature. Si comprende come la questione dell’aborto non sia una battuta acchiappavoti, ma la questione fondamentale per una società e uno Stato. Se accettiamo e riteniamo che sia un diritto abortire, poniamo come fondamento la volontà della singola persona, con il potere di stabilire da sé cosa sia bene e cosa male, chi riconoscere come persona e chi no, chi abbia diritto di vivere e chi non ne abbia. È questa la società, il Paese, la città, la scuola, la famiglia che vogliamo? Allora non si può più fuggire dalla questione dell’aborto, perché se non lo si riconosce per quello che è e non si agisce di conseguenza, ogni altra parola sarà vanità di vanità.

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