Chi non prende in considerazione la soluzione diplomatica del conflitto scherza col fuoco

di Gianmaria Spagnoletti

CON UNA MOSSA DECISAMENTE SCIOCCANTE, ANCHE IL PATRIARCA ORTODOSSO KIRILL SI SCHIERA A FAVORE DELL’«OPERAZIONE MILITARE SPECIALE», MA QUESTO ATTEGGIAMENTO NON C’ENTRA NULLA COL CRISTIANESIMO. L’ESEMPIO VERAMENTE CRISTIANO DI UN DON CARLO GNOCCHI

Nel bel mezzo dell’attuale “psicosi da fascismo” sui media pro guerra, è quanto meno curioso che non si faccia alcuna memoria della Campagna di Russia della Seconda guerra mondiale, in cui furono coinvolte anche le truppe italiane. Fu in quel contesto che nacque l’opera di don Carlo Gnocchi (1902-1956), allora cappellano militare della Divisione alpina “Tridentina”.

Don Gnocchi intuì correttamente che la guerra è conseguenza dei peccati degli uomini, ma ne è anche espiazione. Per questo, nel suo monumentale libro Cristo con gli Alpini (Mursia 2008) volle associare la sofferenza e la morte dei soldati al fronte a quella di Gesù:

«Era un ferito grave e già prossimo a morire. Quando gli tolsero adagio, devotamente, la giubba, apparve la veste atroce e gioconda del sangue che, come un velo liquido e vivo, fasciava e rendeva brillanti le membra vigorose. Senza parlare mi guardò. I suoi occhi erano colmi di dolore e di pietà, di volontà decisa e di dolcezza infantile. Al fondo vi tremava, attenuandosi, la luce di visioni beate e lontane. Come di bimbo che si addormenta poco a poco. Non altrimenti dovette guardare Gesù dall’alto della Croce.

Quel volto scuro e virile dell’alpino, sotto la cornice scura dei capelli scomposti e con l’ornamento così conveniente della barba incolta, diceva un dolore così vergine e forte, un’offerta così cosciente e pudica, una dignità così umile e regale, una domanda tanto discreta di compassione e di aiuto, che ne provai improvviso il brivido gaudioso e lancinante della Veronica, quando vide prodigiosamente fiorire il volto di Cristo sul suo lino bianco e spiegato.

Da quel giorno, la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore».

Don Gnocchi partecipò suo malgrado alla tragica ritirata che coinvolse le truppe dell’Asse nell’inverno del 1943. Avrebbe potuto soccombere al gelo e alle temperature polari, se un militare italiano, il Ten. Rolando Prada (membro della famiglia di pellettieri) non lo avesse messo su una slitta senza nemmeno riconoscerlo. Perché fu il cappellano a salvarsi per pura fortuna, mentre altri caddero nella steppa russa? Non c’è una risposta; ma è proprio grazie a quel salvataggio che don Gnocchi poté dedicarsi, dopo la guerra, a orfani e mutilatini, elaborando la sua «Pedagogia del dolore innocente».

La missione del sacerdote brianzolo fu di dare un senso a ciò che apparentemente un senso non ha: il grido dell’uomo di fronte alla morte del soldato, del civile, del bambino in guerra: «Dopo Cristo infatti non è più possibile altra redenzione che non sia “cristiana” e il sangue dell’uomo non ha potere di purificazione e di pacificazione se non è versato e commisto a quello di Cristo nel calice della Messa, rinnovazione e attuazione del sacrificio del Redentore».

A dispetto delle parole di Kirill, è così che parla un uomo di Chiesa. Non a caso, oggi don Carlo Gnocchi è Beato. Passati 80 anni da allora, molto è cambiato, ma è sempre meglio tenere come punto fermo l’esempio di Napoleone, Hitler e Mussolini, e cioè che andare in guerra aperta contro la Russia non è mai una buona idea, qualsiasi siano le premesse (ad esempio, questa volta il coinvolgimento italiano non è diretto, e la Russia non è stata attaccata, ma ha attaccato per prima).

Beninteso, quel Paese ha subito anche grossi rovesci: la Prima guerra mondiale portò alla Rivoluzione Russa, in cui venne sterminata la famiglia imperiale. Ma presto potrebbe darle manforte anche un prezioso alleato: l’inverno. Per questo, i soldati dovranno fare i conti anche con temperature rigidissime, oltre alla fame, alla fatica e ai combattimenti. Se la Russia tira il conflitto per le lunghe, fa di nuovo “terra bruciata” e si affida, come solito, al “Generale Neve”, al “Generale Freddo”, al “Generale Fango” e al “Generale Distanza”, può darsi che la “partita” sia ancora più che aperta.

C’è poi l’arma “definitiva”, quella nucleare. Senza considerare potenze nucleari come Cina, India, Pakistan, Gran Bretagna, ecc., e passata la corsa agli armamenti della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno ancora a disposizione circa 3000 testate atomiche. La Russia ne ha circa 5000. Tra le testate statunitensi, circa un centinaio sono custodite in basi militari europee, all’interno del programma NATO di “Condivisione Nucleare”. Due di queste basi si trovano in Italia: ad Aviano (Pordenone) e a Ghedi (Brescia). Se il conflitto dovesse aumentare d’intensità fino a coinvolgere anche l’Italia, queste due basi NATO, insieme alle altre presenti nella Penisola (Vicenza, Camp Darby, Nisida, Sigonella, ecc.) per la Russia diventerebbero subito degli obiettivi da attaccare. Si capisce che, in una situazione del genere, tutti i media e tutti coloro che non prendono in considerazione una soluzione diplomatica del conflitto stanno scherzando col fuoco.

Un’ultima cosa: l’”Orologio dell’Apocalisse”, inventato nel 1947 dal Bollettino degli Scienziati Atomici come metafora della prossimità a una catastrofe globale, dal 2021 segna solo 100 secondi alla “mezzanotte” – cioè, in questo caso, alla devastazione nucleare. Avete bisogno di altri argomenti a favore della pace?

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