di Franco Olearo*
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IL DANTE DI PUPI AVATI: UNA PRESENTAZIONE DEL SOMMO POETA CHE NON PERMETTE DI COGLIERNE APPIENO LA GRANDEZZA SPIRITUALE…
È uscito nelle sale Dante di Pupi Avati con Sergio Castellitto nella parte di Boccaccio e di Alessandro Sperduti nella parte di Dante giovane. Nella Firenze del 1350, Boccaccio riceve dal comune di Firenze la somma di dieci fiorini d’oro con il compito di consegnarli alla figlia di Dante, come “risarcimento tardivo dell’ingiustizia patita”. L’incarico è stato affidato a Boccaccio in considerazione dell’ammirazione che ha sempre portato per il sommo poeta. Giovanni inizia così il viaggio da Firenze a Ravenna su un carretto affittato per l’occasione. Un viaggio che non sarà solo l’occasione per visitare i vari luoghi del lungo esilio del poeta ma anche un modo per rivivere gli episodi salienti della sua vita.
L’impresa di rievocare la figura di Dante è sicuramente qualcosa da far tremare le vene e i polsi. In effetti nel 2021, l’anniversario dei 700 anni dalla morte del sommo vate, è trascorso senza opere filmiche o televisive degne di nota. Ora possiamo vedere nella sale Dante diretto e sceneggiato da Pupi Avati, un sogno prolungatosi per vent’anni e ora finalmente realizzato. L’attenzione è posta sulla vita di Dante; dall’infanzia a Firenze, quando a nove anni (numero simbolico) conobbe la coetanea Beatrice, al matrimonio combinato con Gemma Donati dalla quale ebbe tre figli, al suo impegno nelle guerre di Firenze, alla sua nomina a priore per un bimestre nel 1300, il suo fallimentare impegno contro le ingerenze di Bonifacio VIII, fino all’esilio e la morte a Ravenna.
Fin dalle prime scene possiamo ammirare la grande attenzione che il regista ha posto nel tratteggiare quel medioevo del 1350. Nessuna (o minima) computer grafica ma una scelta accurata delle vie, delle piazze delle tante cittadine italiane che hanno significativi profili medioevali. Un medioevo sporco, con tanti poveri e pochi privilegiati, in preda a malattie incurabili, dove anche il Boccaccio deve tenere sempre le mani fasciate per via della scabbia. Ma Pupi Avati abbandona presto il rigore storiografico e non si trattiene dal ricostruire il “suo” medioevo gotico-horror, come aveva già fatto con il suo Magnificat (1993): la discesa nelle gole dei sotterranei di Firenze (prefigurazione dell’infermo) dove giacciono i cadaveri senza nome dopo la peste del 1348, le prostitute sfiancate dai soldati in libertà dopo la vittoria; le defecazioni collettive in un bosco. Per lo stesso amore, tutto spirituale di Beatrice, non viene risparmiata allo spettatore l’immagine-simbolo della donna che mangia il cuore dell’amato, presente in effetti ne La vita nova quando ancora Dante era allineato alla poetica di Cavalcanti che concepiva l’amore come sofferenza e autodistruzione, prima che Dante approdasse alla sua originale visione di un amore spirituale, sublimato dalla sua intensa sensibilità religiosa.
Questo poderoso lavoro di Pupi Avati ci trasferisce in un medioevo oltremodo realistico e un’ampia e accurata ricostruzione della vita di Dante. Ma quale Dante-uomo e quale poeta? Abbiamo un Dante introverso, incerto nei momenti cruciali della sua vita. Quando ascolta da altri la storia di Paolo e Francesca, lui piange. Quando deve decidere, come priore, se mandare o no in esilio il suo amico Cavalcanti, lui soffre nella sua indecisione. Non ci sono elementi che ci consentano di comprendere la formazione culturale di colui che ha potuto abbracciare nella sua opera tutta la realtà umana del tempo, riorganizzandola all’interno di un ordine dettato da una giustizia divina. Manca, in questo ritratto, soprattutto la componente religiosa, la sua spiritualità: ci vengono presentati i suoi scontri con il papa Bonifacio VIII, siamo ben informati attraverso scene intime, sulle sue vicende sessuali (incontri con la moglie, con una prostituta, con la sua amante ai tempi dell’esilio) ma in base a quale prospettiva culturale fu in grado di vedere l’amore per Beatrice come un cammino di conversione spirituale per approdare alla beatitudine celeste? Non c’è risposta a queste domande. Avevamo detto fin dall’inizio che affrontare Dante è qualcosa da far tremare le vene e i polsi. Pupi Avati è riuscito a comporre una valida biografia del grande poeta ma ha mancato l’obiettivo di aprire lo scrigno della sua anima.
*redattore/editore del portale FamilyCinemaTv