Quando il nemico del mio nemico è mio amico…

di Chiara Masotto

IL NOVEMBRE CALDO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE 

Novembre è stato un mese caldo per la politica internazionale: i leader del mondo si sono incontrati in tre fora, la COP27, il G20 e il summit dell’ASEAN, l’associazione che raccoglie i Paesi del Sud Est asiatico.

Sviluppo sostenibile e lotta al cambiamento climatico dominano l’agenda e le dichiarazioni finali di ogni incontro e riescono ad unire rivali palesi come Stati Uniti e Cina, che proprio con questi temi hanno riaperto le comunicazioni. 

La dichiarazione finale del summit del G20 tenutosi a Bali il 15 e 16 novembre ’22 è all’insegna della collaborazione e interconnessione, parole che ricorrono per tutta la dichiarazione (che potete leggere qui in inglese), a memento del fatto che non tutte le sfide possono essere vinte da soli. 

Le sfide in agenda – lotta al cambiamento climatico e alla perdita della biodiversità, sicurezza delle reti di approvigionamento alimentare, sicurezza sanitaria – sono di portata globale e la risoluzione dipende tanto dallo sforzo dei singoli quanto dai risultati raggiunti dal gruppo.

Lo stesso spirito aleggia sulla dichiarazione finale del summit ASEAN, dove viene reiterato il supporto alle iniziative multi e bilaterali di cooperazione per promuovere pace, stabilità e sviluppo della regione in ottemperanza con gli UN Development Goals (il testo integrale è disponibile a QUI). 

Questo spirito sembra in aperto contrasto con le dichiarazioni e con l’assenza di comunicazione che hanno marcato le relazioni di alcuni dei top player della scena internazionale, con Pechino che ha riservato a  Washington il trattamento del silenzio nelle settimane successive alla visita di Nancy Pelosi a Taiwan e le dichiarazioni sempre più astiose tra i Paesi occidentali e la Federazione Russa in relazione al conflitto ucraino.

Contraddizione, ipocrisia o sofismo? In realtà semplice realismo. L’adagio popolare “Il nemico del mio nemico è mio amico” vale anche per quelle questioni che minacciano la sopravvivenza di tutti gli Stati, le cui popolazioni hanno e avranno sempre bisogno di cibo, medicinali e risorse energetiche, tutti beni che in un mondo interconnesso necessitano della collaborazione di tutti.  

In questo esercizio di realismo da manuale le tensioni tra Paesi non sono dimenticate ma messe in time out.

Prova A: le dichiarazioni dei Presidenti Biden e Xi alla COP27. I Presidenti e le rispettive delegazioni si sono incontrati per discutere la ripresa della collaborazione nel campo della transizione energetica, riesumando lo spirito della COP26 e della dichiarazione congiunta di Glasgow.

Terminato l’incontro tra i due Presidenti le delegazioni sono state lasciate a discutere i dettagli e il Presidente Biden è stato assediato dai giornalisti, a cui ha dichiarato di aver ricevuto rassicurazioni che l’annessione militare di Taiwan non è una possibilità a breve termine. Non sapremo mai se queste siano state le parole del Presidente Xi, ma tanto basta per riportare in casa americana e agli alleati una piccola vittoria simbolica su un tema di importanza vitale per la sicurezza americana e giustificare la ripresa di una collaborazione necessaria, o almeno deescalare i toni e rimandare il conflitto in cui nessuno vuole essere trascinato. 

Non pensiamo neanche per un attimo che il Presidente Xi abbia fatto concessioni sul tema Taiwan: per quanto il Presidente riconosca che Taiwan sia “la linea rossa che non deve essere superata”, come recita la nota diplomatica rilasciata da Pechino in seguito all’incontro dei Presidenti cinese e americano al G20, Pechino non rinuncia alle sue ambizioni e alla volontà di vedere la propria posizione riconosciuta.

A supporto citiamo la PROVA B: quando alla COP27 è stata avanzata la proposta di includere anche i Paesi la cui sovranità non è riconosciuta da tutti, come Taiwan, la Repubblica Popolare Cinese ha protestato formalmente e invitato i presenti a non coinvolgere enti che non hanno sovranità popolare e nulla da spartire con i fora internazionali. Fermo restando la necessità procedurale di avere il consenso unanime per approvare ogni mozione, che Pechino abbia deciso di usare il suo diritto di veto per una questione slegata dal tema del forum rimane un fatto significativo e illuminante su ciò che la Repubblica Popolare è disposta a fare per difendere questo suo interesse fondamentale. 

PROVA C: i colloqui per la collaborazione bilaterale sono continuati con fervore sia a margine di che dopo i fora. Dopo l’incontro ASEAN il Primo Ministro delle Filippine ha incontrato la Vice Presidente Harris, la quale ha rinnovato l’impegno americano ad onorare il Manila Pact del 1951, l’accordo difensivo che lega Filippine e Thailandia a Washington e ha discusso nuovi progetti per rafforzare i meccanismi di difesa comune tra i due Paesi che rientrano nel ECDA, Enhanced Cooperation Defense Agreement. Washington si impegna a difendere gli interessi filippini nel Mar Cinese meridionale e la libertà di navigazione, due elementi fondamentali per la strategia americana in Asia che sfrutta le basi nelle Filippine ancora dalla Guerra Fredda, ma evita di superare la “linea rossa” già citata da Pechino. La difesa americana infatti non copre le isole contese ma solo i territori già aggiudicati sotto la giurisdizione filippina, in una mossa diplomatica che rimanda il confronto con Pechino ma rassicura gli alleati. 

No, gli americani non sono gli unici che rinforzano le amicizie nella regione. PROVA D: all’incontro ASEAN la Repubblica Popolare Cinese ha avanzato numerose proposte di collaborazione e ricordato agli altri Stati Membri che delle più di centosessanta proposte avanzate nel forum il 99% è stato implementato “beneficio di tutti” e che la cooperazione con Pechino è una “win-win situation”, rinforzando il mantra cinese nella regione. 

Se i grandi portano avanti iniziative a più livelli, i piccoli che fanno? Sfruttano le faglie nel sistema create dalla competizione tra le due superpotenze, alternando come equilibristi la collaborazione in un campo con Pechino e nell’altro con Washington. Amici di tutti, nemici di nessuno. Manila ne è l’esempio lampante: mentre rinsalda la collaborazione militare con Washington continua a curare i rapporti economici con Pechino.  

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