Senza la pace di Cristo, nel Regno di Cristo, i mali nel mondo continueranno a prosperare!

di Diego Torre

VIVA CRISTO RE! MA DI QUALE REGALITÀ PARLAVA PIO XI?

Alla fine di ogni anno liturgico la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re (quest’anno abbiamo festeggiato la Solennità pochi giorni fa, domenica 20 novembre). Nelle meditazioni e nelle omelie migliori ricorrono facilmente due aspetti: Cristo è re di ogni cuore; Cristo verrà alla fine dei tempi come re e giudice dei singoli e della storia. Sono aspetti assolutamente ortodossi, ma è quasi impossibile trovare qualcuno che evidenzi le ragioni storiche e socio-politiche, assolutamente attuali, per le quali Pio XI l’11 dicembre 1925 promulgò l’enciclica QUAS PRIMAS, istituendo così la celebrazione liturgica.

Il Papa, ricordava la sua prima enciclica, nella quale “mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo” [che era il motto del Papa, ndr].

Il pontefice continuava analizzando come tale regno sia principalmente spirituale, ma anche universale e sociale, affermando che “sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali”. Facendo sue le parole del suo predecessore Leone XIII scrisse: “L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”. Per Pio XI non vi è “differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli”.

Ambrogio Damiano Achille Ratti, con l’enciclica QUAS PRIMAS, invitava quindi “i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria”. E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, “è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re”.

Pio XI sapeva bene, e lo indica, chi sia il nemico di tale regalità: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi”, ma “ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici”.

Infine il Papa denunciava che il cattivo andazzo “va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso”.

E’ passato un secolo. Il laicismo pervade la vita pubblica e privata, assumendo le forme ancora più nefaste della dittatura del relativismo. Quanti cattolici, quanti ecclesiastici conoscono quell’enciclica, strettamente connessa al culto del Sacro Cuore? Quanti “buoni” vivono e si battono affinché “Costui regni su di noi”? Lo scenario di confusione ed infelicità che offre la vita privata di tanti e quella pubblica non sono sufficienti ad innescare quella sana constatazione che Gesù ci ha lasciato nel Vangelo: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5). Nulla di buono certamente.

Tutto quello che la Chiesa può e deve fare è proprio di ricordarsi di questo monito ed operare di conseguenza, senza inseguire lo spirito del mondo, senza diventare una ONG, senza svendere quanto ha di più sacro.

 

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