Matrimonio e famiglia: la questione antropologica e l’educazione dei figli

di Cosimo Russo*

LA DIVARICAZIONE TRA VITA DI COPPIA E MATRIMONIO RIFLETTE UNA VERA E PROPRIA EMERGENZA EDUCATIVA

In questi giorni in cui siamo ancora colpiti dalla morte e poi dalle esequie del Papa emerito, ritorna alla memoria il primo concistoro di Benedetto XVI, del 24 marzo 2006 che, fra gli altri, vide conferire la berretta cardinalizia all’allora Arcivescovo di Bologna card. Carlo Caffarra (1938-2017).

Durante gli studi post-universitari uno dei testi che maggiormente mi hanno formato è stato la sua relazione di apertura al convegno Matrimonio e Famiglia: la questione antropologica e l’evangelizzazione della famiglia che si è tenuto nel 2015 presso la Pontificia Università della Santa Croce (Roma).

In tale importante relazione il compianto cardinale, fra l’altro, afferma che «la ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario eliminare le cause. La prima necessità è la riscoperta delle evidenze originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la realtà. Le evidenze originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità del matrimonio non è una lex exterius data, ma una veritas indita. La seconda necessità è la riscoperta della coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione fra i due finisce da una parte a pensare la 2 sacramentalità come qualcosa di aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto matrimoniale a quella “tirannia dell’artificiale” della quale abbiamo parlato» (card. Carlo Caffarra, Fede e cultura di fronte al matrimonio, relazione di apertura al XIX Convegno di Studi Matrimonio e famiglia: la “questione antropologica” e l’evangelizzazione della famiglia della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, Roma 12 marzo 2015).

Questo “processo lungo e difficile” di riscoperta delle “evidenze originarie” su matrimonio e famiglia occorre, dunque, che venga condotto, in contemporanea. Da un alto deve riguardare il matrimonio, cioè l’atto mediante il quale i coniugi si costituiscono come tali, per poterli guidare verso una felicità che sia reale, incarnata; dall’altro deve considerare la famiglia alla quale essi danno origine che, nella maggior parte dei casi, comprende anche i figli. Negli ultimi decenni le due realtà del matrimonio e della famiglia sono, ciascuna per motivi diversi, entrate in crisi.

Non è questo il luogo per una disamina approfondita di questi fenomeni. Quello che qui ci interessa considerare è che sia stato smarrito quel sapere comune che si dava per scontato allorquando si parlava di matrimonio e di famiglia. Oggi ogni coppia, ogni famiglia, è come se dovesse ricominciare da zero: quello che valeva per le generazioni precedenti, oggi non trova applicazione. É come se il tempo, negli ultimi sessant’anni, avesse accelerato il suo scorrere e le coppie e le famiglie iper-moderne non avessero avuto il tempo di sviluppare comportamenti adattativi, di elaborare pattern comportamentali sufficienti a reggere le sfide del vivere insieme e dell’educare i propri figli.

A tale proposito due grandi angosce caratterizzano l’azione dei nostri protagonisti.

La prima è relativa all’esigenza di sentirsi amati. Diversamente da quanto accadeva in passato la necessità di vedersi riconosciuti, desiderati, posti al centro di un desiderio amoroso è divenuta una vera e propria emergenza. Nella prassi educativa non sono più i figli che domandano di essere riconosciuti dai loro genitori, ma sono i genitori che domandano di essere riconosciuti dai loro figli. Questo desiderio insopprimibile, questa fame d’amore, ha come evidenza comportamentale il fatto che, per risultare amabili è necessario dire sempre di , eliminare il disagio del conflitto, delegare le proprie responsabilità educative, avallare il carattere pseudo-democratico del dialogo.

La seconda grande angoscia delle coppie e dei genitori di oggi è quella legata al principio di prestazione. Lo scacco, l’insuccesso, il fallimento proprio o dei propri figli sono sempre meno tollerati. Di fronte all’ostacolo la coppia si mobilita… per rimuoverlo senza dare il giusto tempo a sé o al proprio figlio di farne esperienza. Le attese narcisistiche dei genitori rispetto ai propri figli rifiutano di misurarsi con questo limite attribuendo loro progetti di realizzazione obbligatoria. I genitori di oggi sono terrorizzati dalla possibilità che l’imperfezione possa perturbare l’apparizione del loro figlio come ideale; allo stesso modo le coppie si ribellano davanti la possibilità che il loro rapporto possa essere inquinato da imperfezioni e, quindi, possa dirsi non-riuscito! É un nuovo mito della nostra civiltà: coltivare il proprio essere come capace di prestazione per scongiurare l’esperienza del fallimento.

Ne consegue, come afferma il noto psicoanalista Massimo Recalcati, «che i nostri giovani non sopportano più lo scacco perché a non sopportarlo sono soprattutto i loro genitori» (Cosa Resta del padre, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017, p. 78).

Oggi in definitiva le famiglie ed i giovani necessitano di una proposta educativa che sia coraggiosa e sfidante nel porre obiettivi di crescita e di miglioramento personale ma che, allo stesso tempo, rispetti i tempi di crescita e di maturazione e sappia confrontarsi con il tema ineludibile del valore pedagogico dell’errore, del fallimento, della sconfitta. L’unica, a mio avviso, figura che possa intestarsi questo compito è la figura paterna. La rottura del patto tra le generazioni è all’origine, come sappiamo, di tutte le difficoltà educative. Ma di questo molto ampio argomento ne parleremo ancora…!

*Consulente coniugale (Marital Coach)

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