Intercettazioni: di cosa parliamo?

di Dalila di Dio

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA RECENTE POLEMICA SULLE INTERCETTAZIONI NEI PROCEDIMENTI PENALI

La recente polemica sulle intercettazioni nei procedimenti penali, esplosa all’esito delle dichiarazioni del Ministro della Giustizia Carlo Nordio – magistrato di lungo corso e convinto garantista, nonostante una vita trascorsa a fare il Pubblico Ministero – ha messo in luce l’ennesima distorsione nel modo comune di intendere il concetto di libertà.

La massa dei commentatori si è schierata contro ogni ipotesi di revisione della normativa in materia – si tratta di ipotesi dal momento che non esiste alcuna proposta ufficiale da parte del Governo – ma, si sa, i commentatori sono, generalmente quelli che lucrano sulla diffusione di vizi privati – ancorché penalmente non rilevanti – di politici e personaggi in vista e, pertanto, esprimono una posizione quantomeno interessata. Insomma, anche loro devono mangiare e noi li capiamo.

A sorprendere davvero, invece, è la reazione di molti italiani. Posti di fronte a un problema che investe la loro libertà, la maggior parte si limita a fare spallucce e a sentenziare “se non hai niente da nascondere, che problema c’è?”.

Sembra che il Covid, con le sue folli norme rivelatesi inadeguate al contenimento del contagio ma assai funzionali all’addomesticamento del popolo, abbia slatentizzato una segreta perversione degli italiani: ai nostri concittadini piace essere controllati, bramano che lo Stato entri nelle loro faccende private perché solo così, lasciandosi controllare, possono dimostrare di essere dei bravi cittadini – cosa che in teoria dovrebbe essere presunta fino a prova contraria – e ottenere quella accettazione sociale che consente loro di dormire sonni tranquilli

Già col dibattito sull’innalzamento della soglia del contante e sul limite minimo per i pagamenti elettronici si erano colte avvisaglie di questa strana parafilia ma il dibattito sulle intercettazioni ha reso manifesto il vero risvolto drammatico di tre anni di paura, divieti, concessioni. Per dirla in maniera estrema, una parte degli italiani hanno dimenticato cosa sia la libertà.

Per qualche strana ragione hanno rimosso un concetto fondamentale: le persone nascono libere e godono di diritti naturali che lo Stato riconosce e può limitare solo qualora ciò si riveli indispensabile e al ricorrere di precise condizioni.

Ora, venendo alle intercettazioni, non è il libero cittadino a dover spiegare la ragione per cui non spetta allo Stato rovistare nel telefono, nella casella mail e nella cassetta della posta tradizionale: non va spiegato perché, semplicemente, quello alla riservatezza, financo alla segretezza degli affari personali è un diritto inviolabile in democrazia.

Un diritto, peraltro, strettamente connesso all’esercizio della libertà. Una persona, infatti, è veramente libera solo in quanto ha il potere di escludere dal proprio spazio privato chiunque, persino lo Stato.

In “I confini contano – Perché l’umanità deve riscoprire l’arte di tracciare frontiere”, splendido saggio pubblicato nel 2021, il sociologo Frank Furedi spiega: “la qualità della vita pubblica è strettamente connessa alla possibilità per le persone di condurre liberamente le proprie vite private. La privacy concede l’opportunità di stare da soli e di sviluppare la propria autoconsapevolezza e dignità personale: qualità che preparano l’individuo a mostrarsi pubblicamente per ciò che è e ciò che pensa” e ancora” In questa prospettiva, la privacy non dovrebbe essere interpretata come qualcosa di buono né di cattivo, ma semplicemente come una necessità”.

Il confine tra la vita pubblica è quella privata, quindi, è un aspetto fondamentale della libertà individuale e a nulla rileva il fatto che una persona abbia o meno qualcosa da nascondere: semplicemente, ciascuno ha il diritto di vivere con la consapevolezza che – salve rare e motivate eccezioni – la propria sfera intima è e deve rimanere inviolabile.

Sulla questione intercettazioni, peraltro maldestramente posta dal Ministro Nordio, si possono avere posizioni differenti ma il dibattito che si è scatenato nell’opinione pubblica offre, comunque, un significativo spunto di osservazione del paradosso in atto: quel “se non hai niente da nascondere che problema hai?”, diffusissimo tra gli italiani, sottintende un pregiudizievole sospetto nei confronti di coloro che vogliono preservare la propria riservatezza e si aspettano, legittimamente, che lo Stato rispetti questo loro diritto.

Coloro che mostrano particolare attenzione per il problema della tutela della privacy -e che intendono, quindi, semplicemente esercitare appieno i propri diritti inviolabili – si trovano in qualche modo ad essere guardati con sospetto, a doversi giustificare per una pretesa assolutamente legittima, per l’aspirazione a godere appieno di un diritto che è già loro per nascita: la libertà, inclusa quella di escludere lo Stato dai propri affari personali e dalla propria vita intima.

Meritare “i diritti”. Un concetto inaccettabile fino a qualche anno fa ma che ha cominciato a serpeggiare con quel “consentiremo” di contiana memoria, per sublimarsi nell’eccitazione di coloro che “godevano fisicamente” nell’esibire quel QR code che certificava che sì, erano stati bravi, quindi potevano esercitare i propri diritti. Potevano lavorare in quanto meritevoli.

Oggi, per dimostrare di essere meritevole devi dare prova di non avere alcunché da nascondere e, per farlo, devi essere disposto a lasciare che lo Stato scandagli la tua vita, sappia cosa compri e quanto lo paghi, dove vai e con chi, a chi telefoni, con chi intrattieni amorosi intrallazzi e chi ti manda l’insopportabile meme del buongiorno, ogni giorno, puntuale come la morte.

Il cittadino meritevole, secondo questo modello spaventosamente diffuso e accettato, è colui che consente allo Stato di violare i propri diritti per dimostrare che, in fondo, è degno di goderne. Colui che si oppone a questo sistema ha, senz’altro, qualcosa da nascondere. Non è meritevole. Probabilmente dovrebbe anche essere punito.

Cui prodest? Ancora una volta, Furedi appare risolutivo: “una volta abolito lo spazio per la segretezza” scrive “la capacità dell’individuo di dubitare, mettere in discussione e agire secondo le proprie inclinazioni viene compromessa. In questo campo, come in altri, la liberà non può prosperare, senza che i limiti e i confini siano preservati”.

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