La dittatura della propaganda dei soliti noti

di Eugenio Capozzi

MOLTI PROFESSORINI, PRESIDI, ARTISTI, GIORNALISTI, ATTORI, CANTANTI, SOUBRETTE, PRESENTATORI, INFLUENCER SONO MILITANTI DI REGIME A SENSO UNICO

Scuola di Stato, università di Stato, cultura di Stato (o regione, o comune). informazione di Stato, intrattenimento di Stato significano solo una cosa: propaganda e indottrinamento ideologico in favore di chi governa o, come in Italia, di chi detiene storicamente un’egemonia pressoché totale.

Se il Leviatano decide cosa i cittadini devono sapere e cosa deve a loro piacere non ci può essere alcuno spazio per la sincera ricerca della verità, per un leale confronto di idee, per il perseguimento della qualità.

I professionisti di istruzione, ricerca, media, arte, spettacolo tendono inevitabilmente (con qualche eccezione eroica che conferma la regola) a diventare militanti e gregari ideologici.

Chi cerca di esprimere contenuti diversi dalla verità e dal gusto subordinato alla volontà del potere, o anche soltanto a porre la verità al di sopra degli interessi politici del Leviatano, viene inevitabilmente emarginato, censurato, oscurato, demonizzato, quando non espulso.

Per porre fine a tutto questo non basta nemmeno l’abolizione del valore legale del titolo di studio chiesta dai grandi pensatori liberali, a partire da Giulio Einaudi, o la concorrenza tra pubblico e privato nella cultura e nello spettacolo. È necessario che lo Stato esca completamente da questi settori, e smetta anche di finanziarli, asservendoli.

Che il Leviatano esca definitivamente dai banchi, dalle accademie e dai musei, da giornali, TV e siti di informazione, dal teatro, dal cinema, dalla musica.

Ciò sarebbe, certo, una condizione necessaria per ripristinare il pluralismo e la concorrenza delle idee nella società, ma non una condizione sufficiente. Anche laddove cultura, scuola, università, informazione, arte e spettacolo sono affidati, in tutto o in larga parte, alla libera iniziativa di soggetti privati si possono creare grandi oligopoli che li strumentalizzano a vantaggio del potere politico e delle ideologie dominanti: come abbiamo visto con le grandi corporations dei media digitali trasformate in megafoni delle dottrine “woke”.

Ma almeno quegli oligopoli non possono ammantarsi del velo ipocrita dell’interesse generale, e possono sempre essere sfidati, o scalati, da soggetti e cordate di segno diverso. Almeno si gioca a carte scoperte.

Nel sistema statalista e corporativo blindato che vige in paesi come il nostro la dittatura della propaganda dei soliti noti – di professorini, presidi, artisti, giornalisti, attori, cantanti, soubrette, presentatori, influencer tutti militanti di regime a senso unico – si impone con un’arroganza e una pretesa di assolutezza senza pari, assume una posa sacrale, si arrocca in una ferrea solidarietà di sistema con tutti i gangli politicizzati di istituzioni fintamente “di garanzia”, divenendo una fortezza inespugnabile.

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