Il valore della conversione come vera guarigione

Il valore della conversione come vera guarigione

di Giuliva di Berardino

LA VERA GUARIGIONE CHE IL SIGNORE CI OFFRE È IL RIMETTERE TUTTO DENTRO DI NOI, IN PROFONDITÀ, NEL NOSTRO CUORE

Il Vangelo oggi ci offre l’occasione di riflettere sul valore della conversione come vera guarigione. In questo tempo di Quaresima riceviamo oggi questa esortazione che il Signore ci fa a prendere sul serio il nostro proposito di conversione, perché Lui possa purificarci e renderci felici. Nel testo, le parole di Gesù che leggiamo, vengono precedute da una richiesta strana degli abitanti di Nazareth: chiedono a Gesù di operare in mezzo a loro gli stessi prodigi che aveva operato nelle zone dove la sua fama era diventata quella di guaritore.

Sul testo non lo leggiamo, perché la liturgia ci presenta subito la risposta di Gesù, ma è bene che noi sappiamo che è proprio di fronte a una richiesta specifica di qualche miracolo che Gesù pronuncia queste parole. Sono parole che ci possono aiutare, come hanno potuto aiutare quelle persone che erano lì, a Nazareth, in modo che ci rendiamo conto che in realtà non possiamo chiedere a Lui la guarigione o di intervenire in certe situazioni che noi non desideriamo o che viviamo male, se prima non abbiamo cercato di convertire il nostro cuore.

La vera guarigione che il Signore ci offre, il suo intervento di salvezza nella nostra vita, infatti, non è il rimettere tutto a posto fuori di noi, ma dentro di noi, in profondità, nel nostro cuore. Forse ci abbiamo fatto mai caso che quando viviamo delle cose difficili intorno a noi e in noi tutto diventa più difficile da vivere, ma se cerchiamo di capire il senso di quelle difficoltà, se riusciamo a percepire che, in fondo, il nostro cuore cambia, forse anche grazie a quelle difficoltà che stiamo vivendo, allora cominciamo a vivere in modo diverso, perché, certo, anche se viviamo male, almeno ci rendiamo conto che noi riusciamo a progredire per non restare nella superficialità degli eventi che ci succedono, come fanno questi nazareni.

Lo vediamo: non si accorgono che Gesù fa precedere l’accoglienza e l’affetto al miracolo, insegnandoci che non si accoglie qualcuno perché ci dà qualcosa o perché ci risolve un problema, ma perché è una persona e perché dietro un dono c’è un donatore da dover ringraziare. Sempre! E, per far capire che spesso il donatore viene da altrove, perché anche Dio è altro rispetto a noi, fa riferimento a due storie dell’Antico Testamento riferiti a due esempi di persone straniere, guarite da due profeti importanti per Israele: Elia, che, in visita la vedova straniera di Sarepta compie un miracolo per ringraziarla della sua ospitalità in situazione di carestia (1 Re 17,7-16), e poi Eliseo, che dona delle indicazioni a Naaman il Siro, il quale si fida delle parole del profeta (2 Re 5,14).

Ecco dunque che impariamo ancora dalla liturgia un messaggio importante: in questa Quaresima tante sono le nostre preghiere e le nostre suppliche, ma il Signore ci chiede di accogliere la Sua Salvezza, cioè la Sua Persona, perché il nome stesso di Gesù è Salvezza. Gesù guarisce perché ci affidiamo a Lui, non perché facciamo di Lui il nostro guaritore e neppure perché dopo la guarigione torniamo alla vita di prima. Le persone che hanno ricevuto una vera guarigione o un vero miracolo da Dio sono quelle che hanno cambiato vita, che hanno compreso che non si può più vivere senza Dio.

Allora oggi mettiamoci davanti al Signore e, prima di chiedergli qualcosa, esprimiamogli il nostro desiderio di vivere una relazione vitale con Lui, di vivere in questa Quaresima una vera conversione del cuore, perché questo tempo ci sia utile non per tornare alla vita di prima come se non fosse successo nulla, ma di tornare alla vita di prima cambiati, convertiti, trasformati dentro, capaci di apprezzare di più la vita.

Buona giornata con il Vangelo di oggi (Lc 4, 24-30)

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

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